Se veicoli blindati made in Usa destinati alle forze armate dell’Iraq finiscono in possesso delle Brigate Hizbullah, una milizia legata all’Iran che il dipartimento di Stato Usa da tempo considera una “organizzazione terrorista straniera”, c’è qualcosa che non va. Quello che non va è la politica seguita dalle grandi potenze, soprattutto gli Usa, in Iraq. Dopo la deposizione di Saddam Hussein e la purga allo scopo di eliminare dall’esercito tutti gli elementi “saddamisti” (dando di fatto vita ai gruppi terroristi sunniti), le forze armate irachene hanno beneficiato di enormi forniture di armi di ogni genere.

Negli ultimi cinque anni oltre 20 paesi – primi gli Usa, seguiti dalla Russia – hanno fornito armi e munizioni all’Iraq. Secondo l’istituto di Stoccolma per le ricerche sulla pace, nel periodo 2011-15 le esportazioni di armi all’Iraq sono aumentate dell’83 per cento rispetto al periodo 2006-10. Nel 2015 l’Iraq è risultato il sesto maggiore importatore di armi al mondo. Il sistema di tracciabilità delle armi, caotico e impreciso, da parte dell’esercito iracheno rende molto difficile capire il percorso che le forniture fanno una volta entrate in Iraq. Questo fatto, insieme alla fluidità del conflitto in corso, significa che le armi vengono spesso catturate o cedute a gruppi armati e milizie che agiscono ancora oggi in Iraq ma anche in Siria.

Nel dicembre 2015, in un rapporto intitolato “Come abbiamo armato lo Stato islamico”, Amnesty International aveva denunciato come forniture mal regolamentate all’Iraq e gli scarsi controlli nel paese ricevente avessero permesso allo Stato islamico di dotarsi di un arsenale grazie al quale aveva commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità su scala massiccia in Iraq e in Siria.

Le ricerche sono proseguite nel 2016, concentrate stavolta sulle armi in possesso delle Unità di mobilitazione popolare, le milizie paramilitari sciite attive dalla metà del 2014 accanto all’esercito iracheno nella lotta contro lo Stato islamico. Le conclusioni di questo secondo filone di ricerca, Amnesty International le ha rese note il 5 gennaio: quelle milizie hanno in dotazione oltre 100 tipi di armi, dai veicoli blindati ai pezzi d’artiglieria, dai kalashnikov ai fucili automatici M-16, oltre a mitragliatrici, pistole e fucili di precisione.

Si tratta di forniture inviate all’Iraq dagli Usa, da paesi europei che fanno parte della Nato, dalla Russia e da altri paesi dell’Europa orientale. Con questo armamentario le milizie sciite hanno compiuto sparizioni forzate, rapimenti, torture, uccisioni sommarie e distruzioni di proprietà civili, spesso per vendicare crimini commessi dallo Stato islamico: crimini di guerra contro crimini di guerra, in un ciclo di violenza settaria che pare interminabile.

Oltre ad essere impiegate nelle operazioni di riconquista dei territori controllati dallo Stato islamico, le milizie paramilitari sono spesso collocate ai posti di blocco. La sorte di migliaia di altri uomini e ragazzi rapiti dalle Ump rimane sconosciuta. Solo al posto di blocco di al-Razzaza, che separa le province di Anbar e di Kerbala, dall’ottobre 2014 sono state rapite centinaia di persone. Alcune delle milizie sono direttamente rifornite dall’Iran, che è il principale sponsor politico e militare delle Brigate Badr, della Lega dei giusti e delle Brigate Hizbullah, tutte accusate di gravi violazioni dei diritti umani. Queste forniture rischiano di rendere anche l’Iran, come l’Iraq e i paesi che lo armano, complice di crimini di guerra.

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