Metti che un grandissimo cantante faccia un video in cui un feto canti sommessamente, accompagnato dalle note di un’orchestra, le parole di una sua canzone stupenda. Di sicuro, non ci sarebbe fan che si rivolterebbe, o che avrebbe da obiettare che è assurdo far cantare un feto, o che direbbe che la canzone è un ideologico inno alla vita: dunque cattolica, pro life, assolutamente di parte. Insomma, tutti noi sappiamo benissimo che un feto dentro la pancia della madre, tanto più negli ultimi mesi di gravidanza quando si muove, è vivo, tanto che nessuno critica quelle madri, in genere al primo figlio che al secondo hai già altro per la testa, che fanno ascoltare ai loro figli Mozart o Beethoven.

Per questo trovo decisamente esagerate le critiche allo spot di San Remo in cui tre feti canticchiano “Non ho l’età” di Gigliola Cinquetti. Esagerate, intendo, se l’accusa è quella di esaltazione della logica religiosa dei pro life, anzi di più, quella di essere una critica all’aborto solo perché mostra dei feti banalmente vivi che cantano (ripeto, come dovrebbero essere quei feti? Morti stecchiti?). Trovo giusto quindi citare, come hanno fatto in molti, la bella canzone dei Massive Attack, Teardrop, nella quale appunto c’è un feto che canta e sulla quale nessuno ha mai detto una parola negativa.

La verità è la maternità è diventata un argomento così divisivo che ormai qualsiasi spot, pubblicità progresso, campagna, film o libro ne parli suscita un’enorme quantità di polemiche estreme e radicali, a dimostrazione che il tema ci riguarda molto più da vicino di quanto non immaginiamo. Io credo che ciò avvenga per la difficoltà estrema che oggi si riscontra a fare figli, per la fatica, sempre estrema, che si fa a crescerli, per lo iato – drammatico – tra il numero di figli desiderato delle donne italiane e quello effettivo, sempre più basso, sempre più spesso addirittura prossimo allo zero. Ormai fare figli è legato al reddito, e se sei ricca te li puoi permettere mentre se sei povera – com’è la generazione dei Millenials – no. Per questo parlare di gravidanza significa toccare di continuo ferite aperte, tanto che basta un nulla per far scatenare lo scontro, la critica, la stroncatura.

Detto questo, però, molte considerazioni si possono fare su uno spot che ha il peccato non solo di parlare di maternità in maniera leggera – forse non è più il caso, forse non si può più – ma soprattutto quello di farlo in maniera brutta, goffa, malfatta, antiestetica. E infarcita di cliché, primo tra tutto quello di mostrare madri serene e dallo sguardo paradisiaco – stereotipo della maternità come qualcosa di sempre magnifico, quando invece è anche conflitto, malessere, ansia, infelicità – poi di mostrarle giovani e bellissime – santo cielo, si potevano prendere tre donne normali, invece che tre modelle: le donne italiane non sono così e soprattutto non fanno figli ormai così giovani. Suona infine un po’ grottesco,  che la madre, nata presumibilmente alla fine degli anni Ottanta, abbia nella lista delle canzoni Non ho l’età della Cinquetti: sarebbe stato più intelligente far provenire la musica da una radio dello studio, ad esempio. E infine i feti: sono la cosa peggiore dello spot, e non perché cantino, ma perché sono con tutte evidenza brutti bambolotti mal fatti e per nulla simili a un vero feto.

Insomma, il problema di questo spot è che è soprattutto fatto male, privo di qualunque senso poetico ed estetico, tanto che si è beccato persino la critica di Famiglia Cristiana. Ma nulla di ideologico. Sarebbe contraddittorio gridare allo scandalo in questo senso, e poi mettersi a piangere di fronte all’ecografia propria o di una parente caro. Come al solito, vince l’ironia: come scrive Pietro Diomede su Twitter: «Papa Bergoglio vede lo spot di dove dei feti cantano “Non Ho l’età” e si dichiara favorevole all’aborto». E ancora Silvia: «Cambiate il pupazzaro che questi non si possono vedè, nevvero».

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