Se ne va il 2016 e davanti ai nostri occhi scorgiamo le prime luci del 2017, a cui facciamo i nostri auguri. A sentire i vari commenti che circolano sulla rete e nei dibattiti saremmo in un’epoca di post-verità, in cui cioè ciò che conta non è il vero oggettivo e riscontrabile quanto piuttosto il vero riconosciuto come tale e non per forza corrispondente al vero reale.

Più volte ho trattato anche io di questo tema a proposito della giustizia. Il concetto espresso, anche nell’ultimo intervento, di una pop justice che è oramai il criterio valoriale del fare giustizia esprime proprio questo. Anche in contrapposizione con la giustizia mediatica che fa oramai parte del secolo passato. La giustizia mediatica ancorava, comunque, la spettacolarizzazione del processo al processo medesimo, all’aula; di contro la pop justice vive del solo messaggio virtuale sulla giustizia, prendendo spunto dalla vicenda per costruirci un dato che ha i connotati più letterari e politici che realmente giudiziari. La pop justice è servente allo spettacolo, la giustizia mediatica restava servente al processo. Per l’epoca della post-verità la pop justice rappresenta uno degli alleati principali.

Accanto alla pop justice, l’altra grande post-verità è quella secondo cui il nostro mondo occidentale sarebbe in crisi; che questa crisi sarebbe nata negli Stati Uniti con gli scandali finanziari e poi sarebbe stata ereditata dall’Europa che vi resta, ancora oggi, impantanata ma dalla quale starebbe liberandosi. Una doppia post-verità, una doppia menzogna. Non c’è nessuna crisi e non c’è nessuna speranza di uscirne. Il concetto di crisi fa pensare a qualcosa che colpisce al di là del volere, a una situazione che merita compassione. Fa comodo chiamare così una scelta esplicita, di carattere legislativo.

Questa volta la legislazione di cui mi occupo non è quella del processo penale ma quella di politica internazionale e monetaria. Ma si tratta sempre di diritto, di regolamentazione e di giustizia. Ripeto, non è una crisi ma il prodotto di una scelta deliberata: quella della moneta unica e del sistema di restrizioni che attorno alla moneta è stato deciso di fare. Come mai è stata fatta questa scelta giuridica che, oggi, può apparire come un suicidio? Perché, crollato il Muro di Berlino, l’Europa si è trovata a fare i conti con una realtà completamente falsata. Pur di non rischiare che le masse si spostassero verso il Comunismo, per cinquanta anni, si è ritenuto di far vivere la gente nel bengodi sociale ed economico, spacciandolo per trionfo dell’economia di mercato e della democrazia. In realtà era il trionfo dell’assenza di regole e leggi sull’uso del denaro.

L’evasione fiscale della classe media è stata tollerata e quasi incentivata; corruzione e malaffare della politica e dell’imprenditoria altrettanto. L’incredibile è stato che tutto questo ha portato a un benessere che, mai, in nessuna epoca e a nessuna latitudine, l’uomo ha mai avuto. Caduto il comunismo si è pensato che unendo, sotto un un’unica moneta, questo Paese del Bengodi e cioè l’Europa del cinquantennio post bellico, si creasse e si moltiplicassero le già infinite possibilità “alla portata di tutti”, correggendo anche le storture legislative dei singoli Stati Nazione (l’Italia su tutte che, in virtù del suo posizionamento geografico e della presenza del più forte partito di sinistra d’Europa, è stata agevolata nella costruzione illimitata del così detto “miracolo italiano”). Invece ciò non è avvenuto, anzi, hanno prevalso le “gambe zoppe” di ciascun Paese, portando alla distruzione del benessere, in specie di quei ceti medi che, seppure dopati dalla cura anti-comunista, avevano creato il mondo del Novecento.

Come ogni realtà sociale, anche questa dell’epoca della post-verità, necessita delle sue regole o leggi e del suo sistema di giustizia. Ed ecco allora il dovere di avere l’Euro come moneta ed il dovere di seguire i parametri economici che la moneta unica impone. Quanto al sistema di giustizia: chi non “fa i compiti a casa” (come si diceva ai tempi del Premier Monti) viene sanzionato e “rimandato a settembre”. Non c’è crisi; sono scelte. Il 2016 lascia in eredità la Costituzione del 1948, essendo stato bocciato il referendum renziano. Il 2017 o il 2018 ci riporterà alle elezioni politiche.

Ma siamo certi che il nuovo ordine europeo, quello dell’Euro, sia compatibile con lo schema, anch’esso novecentesco, della democrazia rappresentativa e dunque della difesa di quei principi che sono scanditi dalla Costituzione? Oppure per ritornare a pensare, proporre, sia economicamente che politicamente, sia un diritto-dovere quello di rompere con la più grande delle post-verità e cioè l’impossibilità della rottura del dogma euro-centrico? “La verità è sempre rivoluzionaria”, diceva Antonio Gramsci. Forse la democrazia era la sovrastruttura giuridica (come direbbe Marx) utile alla giostra del Novecento. Oggi siamo nell’epoca della post-verità democratica e della pop justice. E dunque anche della pop democrazia e dei pop premier.

Buon 2017 a tutti i lettori.

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