Dalle scuole in Lombardia ai campi in Siria, le storie dei bambini addestrati per diventare mujahidin

Come Fatima - Valbona Berisha ha lasciato la famiglia per andare in Siria, con il figlio, e arruolarsi nell’Isis - Ansa
Come Fatima – Valbona Berisha ha lasciato la famiglia per andare in Siria, con il figlio, e arruolarsi nell’Isis – Ansa

Identica deriva jihadista quella seguita da un’altra famiglia che vive nella profonda provincia lombarda. Alice Brignoli, 39 anni, e Mohamed Koraichi, marocchino di 32 anni, cresciuto in Lombardia con i genitori, immigrati regolari, si sposano con rito civile nel 2008. Negli stessi mesi Alice si converte all’Islam. All’inizio pregano nelle moschee di Lecco o di Costa Masnaga. Ma l’integralismo inizia pian piano a divorare la realtà che li circonda. Alice e Mohamed lasciano i rispettivi lavori, tagliano i ponti con i genitori, si chiudono in loro stessi. Il jihad diventa il fine ultimo. E a marzo 2015 si lasciano alle spalle la casa popolare di Bulciaghetto, nel Lecchese, salgono in macchina e partono. Destinazione Siria. Il salto nel vuoto lo compiono però con i tre figli maschi che oggi hanno 3,5 e 7 anni. A raccontare la loro storia a ilfattoquotidiano.it è la mamma di Alice, Fabienne Schirru, una donna tosta che adesso ha un solo obiettivo: “Sono pronta a tutto. Ai carabinieri ho anche descritto i segni particolari per riconoscere eventualmente il cadavere di mia figlia. Ma i miei nipoti torneranno a casa”.

Anche Afrim Berisha è dilaniato dalla stessa angoscia della signora Schirru. Dal 18 dicembre 2014 non vede più il figlio di 6 anni. Perché la mamma lo ha portato con sé in Siria per farlo diventare un vero mujahidin. Dalla scuola ai campi di addestramento siriani. Valbona Berisha, 34enne albanese da anni residente in Italia, conduce una vita “laica”. Fino a quando nella sua testa scatta il cortocircuito. Inizia così a studiare ossessivamente il Corano, segue gli indottrinamenti via web dal predicatore macedone Omer Bajrami e riesce a mettersi in contatto con le alte sfere dell’Isis. Non si fa molti problemi a lasciare la casa di Barzago, nel Lecchese, e ad abbandonare le altre figlie di 10 e 11 anni. In Siria arriva grazie all’aiuto di Selimoviq Mendush, un foreign fighter di origine serba morto in combattimento nel febbraio 2015. La mamma e il piccolo Yussuf (così la donna ha ribattezzato il figlio) vengono inghiottiti dall’abisso in un paese a 40 chilometri da Aleppo, dove forse Berisha sposa un soldato macedone dell’Isis ed entra nei ranghi dell’organizzazione per prestare “soccorso” e combattere la “guerriglia”, come hanno ricostruito le indagini dei carabinieri del Ros di Milano guidati dal colonnello Paolo Storoni e coordinati dalla Dda, che il 28 novembre scorso ha emesso nei confronti di Berisha un’ordinanza di custodia cautelare per terrorismo internazionale. Ancora una volta, dunque, il ruolo della donna si conferma vitale per la sopravvivenza di Daesh. In molti casi sono loro ad essere maggiormente attratte dall’idea di ricominciare una nuova vita nel regno delle bandiere nere. E sono soprattutto loro a decidere il destino dei propri figli. Yussuf viene mandato in un campo di addestramento, dove gli viene insegnata la lotta corpo a corpo: i primi passi per trasformarlo in un futuro martire. In questi anni papà Afrim cerca di mettersi in contatto con la moglie per conoscere la sorte del figlio. Riesce due volte. Ne emerge il racconto in presa di retta della guerra e del delirio integralista visti con gli occhi di un bambino: “Ho paura perché ci sono gli aerei che lanciano le bombe e la mamma è vestita come un ninja“.

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