All’inizio del XXI secolo, la tortura si presenta per molti versi con le stesse modalità dei supplizi medievali. Il torturatore usa in primo luogo il suo corpo (per picchiare, strangolare e stuprare), poi ciò che ha a portata di mano (attrezzi di falegnameria, bastoni, prodotti urticanti, stracci imbevuti di sostanze chimiche, rudimentali congegni elettrici, materiali arroventati ecc.) o fabbrica strumenti terrificanti, congegnati volutamente per infliggere il massimo della sofferenza possibile.

Per rendersene conto, basta la descrizione di alcuni dei metodi di tortura praticati da decenni in Siria: haflet al-istiqbal (“festa di benvenuto”: duri pestaggi, spesso con spranghe di silicone o di metallo e cavi elettrici); dulab (“pneumatico”: il corpo del detenuto viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico da camion, poi via ai pestaggi); falaqa (“bastonatura”: il classico pestaggio sulle piante dei piedi); shabeh (“impiccato”: il detenuto viene tenuto appeso per i polsi per parecchie ore, coi piedi nel vuoto, e picchiato ripetutamente); bisat al-rih (“tappeto volante”: la vittima è legata a una struttura pieghevole, come un tavolo richiudibile, la cui parte inferiore viene pressata su quella superiore).

Nello scantinato di una stazione di polizia delle Filippine, nel 2014, è stata trovata una “ruota della tortura”, un’imitazione tragicamente fedele della nota “ruota della fortuna”. A seconda di dove si fermasse, il detenuto poteva essere sottoposto a “30 secondi in posizione pipistrello” (ossia tenuto appeso a testa in giù per mezzo minuto) o a “20 secondi di Manny Pacquiao” (pugni in faccia, in onore del più famoso pugile del Paese) o ad altri metodi efferati.

Ma accanto alla tortura prevalentemente fisica, si sta affermando una forma di tortura più sofisticata, che non lascia ferite o segni visibili sul corpo ma devasta la mente, fino a umiliare la persona, farla impazzire o a ridurla al silenzio. Perché uno degli obiettivi di fondo del sistema della tortura è di non far raccontare alla vittima ciò che le è accaduto o almeno di rendere il suo racconto incoerente o non credibile.

The Senate Select Committee on Intelligence released a report on the CIA's interrogation practices. The report said the CIA misled Americans and government policymakers about the effectiveness of the program that was secretly put into place after the 9/11 terror attacks. PICTURED: Jan 18, 2002; Guantanamo Bay, Cuba - (File Photo) Taliban and al-Qaida detainees in orange jumpsuits sit in a holding area during in-processing to the temporary detention facility. The detainees will be given a basic physical exam by a doctor before entering cells. (Credit Image: Shane T.McCoy/ZUMA Press/ZUMAPRESS.com) LaPresseAutorizzazione da richiederemassimo.zanotti@lapresse.itOnly Italy

Ecco alcuni dei numerosi metodi praticati dal 2002 nel centro di detenzione statunitense di Guantánamo Bay: esporre il prigioniero a luci accecanti, a musica assordante o a temperature gelide o torride, tenerlo incappucciato per mesi, isolarlo da ogni suono, costringerlo a rimanere seduto in posizioni scomode per giorni e giorni, negargli cibo, acqua e sonno, minacciare di morte i suoi familiari, obbligarlo a rimanere nudo di fronte a estranei…

Il tutto, meticolosamente regolamentato da manuali, linee guida, avvocati (quelli che devono dimostrare, di fronte alla remota possibilità di un processo, che non si trattò di tortura), medici (quelli che devono fermare la tortura quando c’è il rischio che chi la sta subendo ne muoia) e psicologi.

small_141210-115021_mi101214est_0015Lungi dall’essere il prodotto di un’estemporanea perdita di controllo o della presenza di “mele marce” all’interno di un cesto che si autodefinisce sano, la tortura odierna è il prodotto di un sistema estremamente curato, si potrebbe dire gestito con approccio manageriale, in cui viene studiato ogni “punto debole del nemico” e pianificato ogni minimo dettaglio della conduzione degli interrogatori e del trattamento da riservare ai prigionieri.

È difficile dire se faccia più male la tortura fisica o uno stato di perenne incertezza e angoscia sul proprio destino; se lasci più segni una scarica elettrica o l’ascolto delle urla di chi sta subendo torture nella stanza accanto; se annichilisca più una sevizia sessuale o la minaccia che tali sevizie verranno subite dai propri congiunti. Sia l’una che l’altra forma di tortura provocano danni duraturi. Gli operatori e le operatrici dei centri per la riabilitazione psicofisica delle vittime della tortura lo sanno bene. La loro missione è di ricostruire, pezzo dopo pezzo, le macerie di un terremoto emotivo.

La tortura è anche un prodotto altamente tecnologico. Nel mondo attualmente operano oltre 100 aziende specializzate nella produzione di strumenti di tortura. Si tratta per lo più di congegni elettrici che rendono inoffensiva (a volte per sempre…) la persona contro la quale vengono usati. Addirittura, la tecnologia è riuscita a eliminare l’ultimo difetto della tortura, ovviamente dal punto di vista del torturatore: la necessità di essere a contatto con il torturato. Si può azionare una cintura elettrica da un’altra stanza, con un semplice telecomando.

Queste descrizioni della tortura e dei suoi metodi illustrano bene i suoi obiettivi: annichilire, tenere sotto controllo e in perenne soggezione una persona, distruggerne l’identità, punirla per ciò che è o che si sospetta possa essere.

Foto Vincenzo Livieri - LaPresse 25-02-2016 - Roma - Italia Cronaca Manifestazione per Giulio Regeni davanti l'Ambasciata di Egitto Photo Vincenzo Livieri - LaPresse 25-02-2016 - Rome - Italy Demonstration in memory of Giulio Regeni at the Embassy of Egypt
Avere presente questi obiettivi fa capire meglio il senso e il significato delle immagini scattate da soldati Usa 13 anni fa nel carcere iracheno di Abu Ghraib. Immagini purtroppo indimenticabili. Spiega anche, tragicamente, la crudeltà e l’abiezione mostrata da chi, in Egitto, ha torturato a morte Giulio Regeni e, con lui, migliaia di egiziani.

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