Fuori dai contratti di solidarietà, trasferiti in uno stabilimento chiuso e, quindi, in cassa integrazione straordinaria a zero ore. Erano 365 gli operai della Natuzzi (su un totale di 2.341 lavoratori) lasciati in un limbo dal 2013: in dieci hanno accettato i primi incentivi all’esodo e 355 sono stati licenziati il 16 ottobre scorso. Alla scadenza della cassa integrazione per cessazione dello stabilimento di Ginosa (Taranto), per loro è stata aperta la procedura di mobilità. Così, 140 hanno accettato l’incentivo all’esodo e hanno chiuso così qualsiasi rapporto con l’azienda, mentre le sorti degli altri 215 sono rimaste aggrappate a un filo. Molti di loro hanno impugnato il licenziamento e avviato contenziosi per ottenere il risarcimento per mancata rotazione proprio mentre erano in Cigs. Ed è per questi oltre duecento lavoratori che lo scorso 15 novembre è stato firmato un accordo presso il ministero dello Sviluppo Economico tra Cgil, Cisl e Uil di categoria e azienda. Si prevede, tra le altre cose, che venga costituita una nuova società, controllata dal gruppo Natuzzi, “impegnata a realizzare – si legge nell’accordo – gli investimenti necessari per la riconversione del sito produttivo di Ginosa”. L’obiettivo dichiarato è quello di renderlo idoneo al nuovo processo produttivo “per il quale è stata avanzata richiesta di finanziamento alla Regione Puglia e alle istituzioni”. Trentadue lavoratori hanno accettato, ma l’Unione sindacale di Base non ci sta e porta avanti la battaglia degli operai che non vogliono cedere a quello che l’Usb Lavoro Privato definisce ‘un ricatto’. “Perché – spiega a ilfattoquotidiano.it Felice Dileo, referente Usb per la Natuzzi – questi 215 lavoratori saranno assunti entro il prossimo 31 dicembre, ma solo se avranno già definito il contenzioso con l’azienda, quindi rinunciando a ogni tipo di risarcimento per mancata rotazione e anche all’impugnazione del licenziamento”.

IL PECCATO ORIGINALE – La vertenza Natuzzi è stata anche oggetto, alcuni mesi fa, di un’interrogazione di Gianni Perrino, consigliere regionale del M5S in Basilicata, regione dalla quale provengono alcuni dei lavoratori interessati dalla vertenza. “Dal 13 gennaio 2004 – ricordava Perrino – Natuzzi ha fatto ininterrottamente ricorso agli ammortizzatori sociali (in particolare cassa integrazione guadagni straordinaria e cassa integrazione guadagni in deroga)”. Tutte misure a carico del bilancio Inps e, quindi, dello Stato. “Negli ultimi due anni – segnalava il consigliere – sono stati sottoscritti una serie di accordi” che prevedono “un massiccio utilizzo di contratti di solidarietà con la riduzione del 40% delle ore lavorative per 1.918 lavoratori”. Accordi dai quali sono rimasti fuori 365 operai, “letteralmente parcheggiati nello stabilimento di Ginosa che, nonostante sia fermo dal novembre 2013, viene definito unità di riallocazione”. Ed è questo uno dei punti su cui batte anche Dileo: “Gli accordi, che risalgono a marzo 2015, prevedevano i contratti di solidarietà che si basano sul principio del ‘lavorare meno per lavorare tutti’ ma questo principio è stato aggirato”. E’ legittimo che un’impresa, con produzione articolata su diversi impianti, trasferisca maestranze da un sito all’altro se l’organizzazione del lavoro lo richiede. “Suona però molto strano e anomalo – commenta Dileo – se lo stabilimento è stato chiuso molto prima della transizione, i lavoratori sono quindi stati collocati in cassa integrazione a zero ore e, quindi, sono rimasti a casa”.

L’Usb dichiara di aver chiesto ripetutamente (e invano) a istituzioni e sindacati interessati come mai si è scelto di offrire contratti di solidarietà solo a 1.918 lavoratori, quando la legge Fornero prevedeva una riduzione dell’orario medio fino al 60% di quello contrattuale, cosa che avrebbe permesso di far rientrare tutti. In realtà a ilfattoquotidiano.it l’azienda fa sapere che “l’organico fissato a 1.918 unità non è frutto del caso, ma il risultato di un Piano Industriale effettuato in base all’analisi del settore in cui opera l’azienda, alla prospettive di crescita del mercato e all’andamento dei principali fattori macroeconomici. Al termine del percorso di solidarietà, l’azienda prevede di poter impiegare a tempo pieno quel numero di lavoratori”.

LA POLITICA INDUSTRIALE E IL NUOVO ACCORDO DELLA DISCORDIA – Per il sindacalista il ricorso alla cassa integrazione per gli stabilimenti italiani è iniziato quando la produzione in Brasile, Cina e Romania è entrata a pieno regime e gli esuberi alla Natuzzi sono la conseguenza di una precisa scelta di politica industriale. “Il risultato del trasferimento delle lavorazioni all’estero – spiega Dileo – è stato che il numero dei dipendenti Natuzzi in Italia si è quasi dimezzato: dai 3.466 del 1997 ai 1.918 di oggi, mentre l’azienda continua a guadagnarci”. Per l’Usb “mentre l’azienda continua a ridimensionare la forza lavoro, lo Stato continua a stanziare denaro pubblico a suo favore”. Le ultime risorse ammontano a circa 38 milioni di euro, previsti in un protocollo del 23 settembre 2015 per gli investimenti dell’azienda “che saranno ora sboccati grazie all’accordo firmato il 15 novembre scorso”. Ma perché 200 lavoratori hanno detto no all’ingresso nella New.Co? In ottemperanza a un accordo di programma dell’8 febbraio 2013, lo Stato stanzia 101 milioni di euro per gli imprenditori che investono nei territori ad alto tasso di disoccupazione. “Il sospetto è che si voglia attingere (tra l’altro legittimamente) a quei finanziamenti – spiega Dileo – dato che la New.Co assumerebbe lavoratori disoccupati, perché licenziati dalla Natuzzi, che entrerebbero anche con un salario di ingresso”. Di più: “Sebbene la New.Co necessiti di parecchi mesi per entrare a regime produttivo, procederà alle assunzioni entro il 31 dicembre 2016, ma non per far lavorare gli assunti, bensì per collocarli dal primo giorno in cassa integrazione in deroga”. E assumerà solo gli operai che avranno “definito ogni contenzioso con Natuzzi”, mentre molti procedimenti avviati arriveranno a sentenza solo nei prossimi mesi. “In questo modo – spiega Dileo – non si dà la possibilità di scegliere: se si vuole entrare nell’accordo bisogna rinunciare a ogni pretesa”.

L’AZIENDA: “NESSUN RICATTO” – Fonti interne all’azienda precisano che tutti i 215 ex lavoratori sono stati più volte contattati dall’azienda – tra la fine di novembre e la metà di dicembre – e invitati a conoscere il piano industriale della New.Co e le modalità di assunzione. In 144 non si sono presentati agli incontri organizzati per conoscere le opportunità della New.Co. E per quanto riguarda la condizione di procedere all’assunzione solo dei lavoratori che avranno già definito il contenzioso con Natuzzi? “Si obbedisce unicamente all’obiettivo di garantire uno sviluppo armonico del nuovo rapporto di lavoro – spiega l’azienda – superando fattori pregressi che possano compromettere i risultati del piano industriale della New.Co”. Insomma, l’azienda fa sapere che ha proposto “una transazione economica per la definizione bonaria e consensuale dei contenziosi. Nessun ricatto, quindi: non è stato chiesto ai lavoratori di abbandonare il contenzioso per tornare a lavorare, ma di transare”. In quanto alla data del 31 dicembre non è casuale. È l’ultima data disponibile per la richiesta della Cassa integrazione in deroga: mentre la proposta originaria dell’azienda prevedeva l’assunzione graduale dei lavoratori presso la New.Co direttamente dalle liste di mobilità “è stata accolta la richiesta di Regione Puglia e sindacati di assumere i lavoratori entro la fine del 2016 e di partire con la cassa integrazione in deroga nel periodo di start-up della nuova società dal momento della costituzione della New.Co sino al primo ingresso in fabbrica previsto per luglio 2017”.

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