Più della meta delle famiglie italiane faticano ad accedere al pronto soccorso. Lo rileva l’Istat nel suo corposo Annuario statistico pubblicato giovedì: “Nel 2016 le famiglie continuano a dichiarare difficoltà di accesso a molti servizi di pubblica utilità, in particolare per il pronto soccorso (55,5%)”. Per il 36,4% è invece difficile arrivare alle forze dell’ordine. Seguono poi gli uffici comunali (34,1%), i supermercati (28,5%) e gli uffici postali (25,6%). Quello dell’accesso ai servizi è solo uno dei tanti aspetti della situazione del Paese passati in rassegna dall’Istituto nazionale di statistica nell’annuario, che rileva tra l’altro come la Penisola sia un Paese sempre più anziano – il che comporta un continuo incremento delle spese sostenute per le pensioni – e come di conseguenza stiano progressivamente calando gli iscritti al sistema scolastico. Per quanto riguarda la sicurezza reale e percepita, nonostante omicidi e rapine siano diminuiti le famiglie si sentono sempre più a rischio. Gli italiani, poi, non sembrano molto interessati alla propria salute: uno su tre fuma e uno su quattro non fa attività sportiva.

L’Italia è sempre più un Paese di anziani – Al 31 dicembre 2015 ogni 100 giovani c’erano 161,4 persone sopra i 65 anni, rispetto ai 157,7 dell’anno precedente. Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi europei, secondo gli ultimi dati disponibili (dicembre 2014) l’Italia è al secondo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, preceduta solo dalla Germania. Di conseguenza, il costo delle pensioni è in “continua crescita nel tempo”. Per il pagamento di pensioni e rendite sono stati spesi 259,3 miliardi di euro nel 2016. Un “netto incremento” viene rilevato per le indennità di disoccupazione: la spesa dedicata è stata nel 2015 pari a circa 12 miliardi (+6,8%). Una “crescita molto elevata (+9,1%)” viene poi registrata per le prestazioni assistenziali: in entrambi i casi, spiega l’Istat, incide l’effetto del bonus di 80 euro introdotto dal governo Renzi per i dipendenti con redditi tra gli 8mila e i 26mila euro annui.

Calo degli iscritti alle scuole – Continua, per il quinto anno consecutivo, il calo degli iscritti al sistema scolastico, ma il livello di istruzione degli italiani è in crescita. Nell’anno scolastico 2014/15 gli studenti iscritti nei vari corsi scolastici sono stati quasi 9 milioni, 34 mila in meno rispetto all’anno precedente. La diminuzione, secondo l’Istat, è principalmente dovuta al calo demografico, non sufficientemente compensato dalla crescente presenza nelle scuole italiane di alunni stranieri, che sono il 9,2% degli iscritti. Per quanto riguarda il livello d’istruzione, nel 2015 oltre tre persone su 10 hanno una qualifica o diploma d’istruzione secondaria superiore (35,6%), valore stabile rispetto al 2014, mentre cresce anche se di poco la percentuale di chi possiede un titolo universitario.

Sempre meno studenti scelgono di fare l’università – Prosegue il calo degli studenti che dopo il diploma scelgono di proseguire gli studi all’università: nell’anno accademico 2014/15 sono stati meno della metà (49,1%). Negli ultimi anni le donne rappresentano la maggioranza degli iscritti in tutte le tipologie di corsi e il loro percorso di studi è generalmente più brillante: nell’anno solare 2014 il 39,9% delle 25enni ha conseguito per la prima volta un titolo universitario contro il 25,8% di uomini e il 23,5% una laurea magistrale contro il 15,1% di maschi. Nel 2015 lavora il 45,9% dei diplomati del 2011 di scuola secondaria di secondo grado, il 63% dei diplomati degli istituti professionali e il 58,5% di quelli degli istituti tecnici. Gli uomini hanno più probabilità delle donne di trovare un’occupazione dopo il diploma: 50,1% contro 41,6%. L’occupazione tra i laureati risulta più alta: nel 2015, a 4 anni dalla laurea, lavora il 72,8% dei laureati di primo livello e l’83,1% dei laureati di secondo livello. Per i dottori di ricerca invece si registra quasi la piena occupazione: lavora il 91,5% di chi ha conseguito il titolo nel 2010 e il 93,3% di chi lo ha ottenuto nel 2008.

Calano omicidi e rapine, ma cresce percezione criminalità – Gli omicidi volontari denunciati dalle forze di polizia sono scesi del 5,4% nel 2014 rispetto all’anno precedente e una diminuzione ancor più significativa (-13,5%) l’hanno avuta quelli mafiosi. Calano anche le violenze sessuali denunciate (-5,1%), così come il numero di rapine (-10,3%), mentre aumentano i furti (+1,2%) e soprattutto le estorsioni (+19,4%). Nonostante i dati sui reati del 2014, è cresciuta nell’anno in corso la percezione del rischio criminalità tra la popolazione italiana. Le opinioni delle famiglie raccolte dall’Istat nel 2016 dicono infatti che il 38,9% avverte la criminalità come un problema presente nella zona in cui vive (erano il 30% nel 2014). Un fenomeno che ha la sua punta massima nel Lazio, dove una famiglia su due percepisce tale rischio, seguito da Veneto (45,7%), Emilia Romagna (45,5%) e Lombardia (44,3%). In quinta posizione la Campania, come nel 2014, ma la quota di famiglie è superiore (43,5% contro 33,3%).

Un italiano su tre fuma, uno su quattro fa sport – In Italia l’abitudine al fumo non è più in declino e a fumare di più sono i giovani, in particolare fra gli uomini. Il picco dei fumatori si ha proprio negli uomini tra i 25 e i 34 anni di età (con il 33,5%), mentre tra le donne le fumatrice sono il 15,1%. La quota di fumatori è più elevata tra chi vive nel centro (20,7%) mentre raggiunge il valore più basso tra i residenti del Nord-est (18,2%). I valori più alti si osservano in Campania (23,4%), Umbria (22,8%) e Basilicata (21,5%). Ma sopratutto l’Istat evidenzia che si è fermato il declino dell’abitudine al fumo da parte degli italiani. Se non diminuisce la quota dei fumatori, non aumenta la quota degli italiani ‘sportivi‘. L’Annuario statistico sottolinea che solo un italiano su quattro fa sport nel tempo libero. Fra questi, il 25,1% afferma di farlo con continuità, mentre il 9,7% lo pratica in modo saltuario. Un ulteriore 25,7% svolge qualche attività fisica, come fare passeggiate di almeno due chilometri, nuotare o andare in bicicletta mentre i veri sedentari sono circa quattro su dieci (39,2%).

Carceri, calano i detenuti ma rimane il sovraffollamento – L’anno scorso i condannati iscritti nel casellario giudiziario sono stati 314.550, in diminuzione del 3,1% rispetto al 2014. Mentre i detenuti si sono attestati a 52.164, oltre 10mila in meno rispetto al 2013. Quasi un detenuto su tre è di cittadinanza straniera (33,2%), con forti differenze però tra le varie aree del Paese: a Nord i non italiani sono il 46,9%, al Centro il 42,6% e solo il 17% nel Mezzogiorno. Sale invece a tre su dieci il numero dei detenuti che svolgono un’attività lavorativa, nella maggior parte dei casi alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Lo scorso anno l’indice di affollamento delle carceri è passato da 108% nel 2014 a 105,2%. Malgrado questo lieve miglioramento, solo 8 regioni e la provincia autonoma di Trento hanno un indice di affollamento inferiore a 100. In Puglia si conferma il maggior sovraffollamento: 131 detenuti per 100 posti letto regolamentari.

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