L’Italia era una stazione di transito del terrorismo integralista. Ora, con l’uccisione di Anis Amri, è la stazione di fine corsa per l’autore della strage di Berlino. Il conflitto a fuoco della scorsa notte, davanti allo scalo di Sesto San Giovanni, hinterland milanese, un tempo rosso operaio, fa aumentare il tasso di pericolo di attentati in Italia?

La domanda fa correre un brivido lungo la schiena, dopo che Amaq, l’agenzia d’informazioni vicina al sedicente Stato islamico, ha diffuso un video in cui il terrorista tunisino ucciso annunciava “veniamo a sgozzarvi come maiali” e chiamava all’azione “tutti i fratelli, ovunque essi siano”. Amri diceva: “State in allerta e combattete sulla via di Dio. Ogni essere umano in grado di battersi vada a uccidere in tutta l’Europa i crociati maiali”.

La risposta è ovvia: “sì”, il rischio aumenta, perché in qualche aspirante martire, per imitazione o per convinzione, s’accenderà di sicuro la scintilla della ritorsione. Ma la domanda è oziosa, o almeno mal posta: ammesso che l’intercettazione di Amri sia stata casuale e non preordinata, che cosa avrebbero dovuto fare l’agente Christian Movio, 36 anni, rimasto ferito nella sparatoria, e il suo collega ancora in prova, Luca Scatà, che ha risposto al fuoco del killer di Berlino? Avrebbero dovuto “non impicciarsi”? Voltarsi dall’altra parte, quando quell’uomo li ha insospettiti?

In altri tempi, anni Settanta e giù di lì, l’Italia era usa a imbarazzanti compromessi (e, forse, ne è talora tentata pure oggi): cercava d’acquisire la benigna neutralità del terrorismo internazionale – che, allora, ruotava intorno alla questione palestinese – chiudendo un occhio in situazioni discutibili e lasciando magari partire personaggi pericolosi, ma potenzialmente scomodi da tenere in carcere o processare.

Se adesso non succede, che sia merito di un apparato di sicurezza più efficiente e consapevole o dell’intuizione e solerzia professionale di singoli elementi, meglio così. C’è da esserne orgogliosi, senza ignorare il pericolo e adottando tutte le misure precauzionali opportune. Una circolare, ora emanata dal capo della Polizia Franco Gabrielli, invita tutto il personale alla “massima attenzione”, proprio perché “non si possono escludere azioni ritorsive“.

Piuttosto, la presenza di Amri in Italia suona di per sé allarmante: se, in fuga da Berlino, il terrorista del mercatino di Natale, l’assassino, fra gli altri, di Fabrizia Di Lorenzo, è arrivato con il treno, via la Francia, a Torino e a Milano, vuol dire che qui da noi pensava di potere trovare accoglienza o almeno copertura per continuare la fuga o per restare latitante fino alla prossima sortita.

L’uomo che, nel suo video-messaggio di appena due minuti, recita in arabo le tradizionali preghiere e giura fedeltà “al principe dei fedeli Abu Bakr al Baghdadi al al Huseini al Qurayshi”, l’autoproclamato Califfo, stava forse scappando, sentendosi braccato; oppure attuava un piano ben preordinato, avendo punti d’appoggio sul territorio. Nel primo caso, ci sarebbe comunque l’ipotesi che qualcuno voglia emularlo. Nel secondo caso, ci sarebbe operativa in Italia una rete di simpatizzanti jihadisti pronti a sostenere i sodati del Califfo.

L’uccisione di Amri è un fattore di rischio; ma anche la sua presenza in Italia di per sé lo era. L’acquiescenza sta al terrorismo come l’omertà alla mafia: entrambe figlie della paura e dell’ignavia, conducono alla sconfitta. Christian Movio e Luca Scatà hanno fatto la loro parte. Noi cittadini facciamo la nostra: senza odio e con solidarietà; senza accanimento, ma con fermezza.

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