Oggi è l’#Aleppoday, la giornata in cui è stato chiesto a tutti i media di raccontare il dramma di Aleppo, dei bambini siriani e di essere la cassa di risonanza di una strage senza fine. Ho scelto di aderire all’#Aleppoday con queste due immagini, come emblema di un’informazione superficiale, sfinita. Un’informazione incapace di raccontare la guerra, di denunciarne gli orrori, avvilita e svilita al solo compito di commercializzare persino il dolore.

Sono due scatti con cui Vanity Fair ha chiesto ai lettori di scegliere con un like l’immagine di copertina della pagina Facebook per Natale. Quale scatto volete mettere sul vostro album natalizio? la vetta innevata del Monte Cervino oppure i neonati di Aleppo in fuga sotto le bombe? Dai su, ditecelo con un like, spammiamolo sui social, condividiamolo con un hashtag: #Cervino versus #bimbiAleppo.

La corretta informazione è uno strumento prezioso, uno strumento ma anche un mezzo, per veicolare libertà, per denunciare, per diffondere conoscenza e fare pressione sociale. Durante i colpi di Stato, sono i social, le connessioni, le reti, i siti web i primi ad essere oscurati. La corretta informazione è una responsabilità umana prima ancora che professionale, mentre la cattiva informazione è immorale perché è asservita a forme di potere, qualunque esso sia, anche economico.

Questa campagna, che riduce il dramma dei neonati in fuga sotto le bombe a un’immagine qualunque, da mandare in gara con quella del monte Cervino per la foto di Natale 2016, non si traduce solo nell’incapacità di comunicare, ma persino di tracciare un solco lungo l’unica strada che a noi giornalisti resta da percorrere. Quella di raccontare che dietro la morte dei bambini, delle donne e degli uomini di Aleppo c’è la responsabilità di un fallimento internazionale senza precedenti.

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