Si mette male per gli operatori del fotovoltaico che erano ricorsi ai giudici per annullare il cosiddetto “spalma-incentivi”, il decreto pensato dal governo Renzi che ha tagliato i sussidi per ridurre le bollette delle piccole e medie imprese (pmi). La Corte Costituzionale ha infatti bocciato alcuni dei ricorsi presentati dai produttori del settore e dalle associazioni di categoria contro il provvedimento, ritenendo inconsistente la questione di legittimità costituzionale. La Consulta, si legge in una nota ufficiale, “ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 2 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116), cd. “Spalma-incentivi”, nel settore dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici”.

Era stato il Tar del Lazio a mettere in dubbio la legittimità della norma, con una serie di ordinanze adottate in risposta a ricorsi presentati sempre dagli operatori. In quel caso il Tar aveva sottolineato il rischio che la norma potesse violare gli articoli 3 e 41 della Costituzione per irragionevolezza, sproporzione e violazione del legittimo affidamento, in quanto “incide ingiustificatamente sulle consolidate posizioni di vantaggio, riconosciute da negozi di diritto privato e sul legittimo affidamento dei fruitori degli incentivi”. Ora la decisione della Consulta mette un punto alla storia, per lo meno nelle sedi giudiziarie italiane.

Il taglio degli incentivi è stato deciso nel 2014 dal governo Renzi per ridurre del 10% le bollette elettriche alle pmi e riguarda gli impianti fotovoltaici di maggiori dimensioni, oltre i 200 KW. I punti critici sono essenzialmente due: il taglio retroattivo degli aiuti elargiti finora (effettivamente tra i più alti al mondo) per investimenti già effettuati e la possibilità per il Gestore dei Servizi Energetici (Gse) di modificare unilateralmente le modalità contrattuali. Motivi per cui appena approvato il settore iniziò da subito una lunga battaglia, minacciando una serie di azioni legali. L’obiettivo era quello di ottenere il riconoscimento di non costituzionalità da parte dei giudici, ritenendo che il decreto toccasse i diritti già acquisiti. Lo stesso Valerio Onida, ex giudice costituzionale e ex presidente della Corte, si pronunciò in questo senso.

Anche gli operatori stranieri attivi nel nostro Paese, scesero sulle barricate annunciando non solo azioni legali ma anche il blocco di qualsiasi altro investimento strutturale in Italia, “non essendo assicurata la stabilità normativa a lungo termine”. Un centinaio di investitori stranieri avviarono anche la procedura arbitrale prevista dal Trattato internazionale della Carta dell’Energia, in quanto “l’Italia starebbe violando il principio di stabilità dei meccanismi di incentivazione e di non discriminazione”. Un altro gruppo di operatori (italiani e esteri) impugnò lo spalma-incentivi con un ricorso alla Commissione europea per violazione delle direttive Ue sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

La decisione della Corte Costituzionale è quindi un duro colpo al settore, che tuttavia continua a pensare a un modo per non chiudere la questione, magari rivolgendosi fuori confine. Come Anie Rinnovabili che sta valutando di rivolgersi alla Corte Europea. “La sentenza è inaspettata, e ci lascia molto perplessi. Aspettiamo di leggere le motivazioni per capire meglio una decisione che va a ledere gli interessi di una delle industrie chiave per il paese sia in termini di impatto ambientale che economico”, commenta l’associazione a ilfattoquotidiano.it.

Così anche Assorinnovabili, che “resta in attesa della pubblicazione della sentenza per conoscerne le motivazioni e per valutare ogni possibile azione a tutela dei produttori da fonte fotovoltaica”. L’associazione ricorda tra l’altro che “la stessa Commissione Europea, nell’ambito dei lavori preparatori alla prossima Direttiva Rinnovabili, condanna fermamente l’adozione di misure retroattive da parte degli Stati Membri, quale strumento di incertezza e fonte di danno per gli operatori”.

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