La prima giornata di aumento di capitale per MontePaschi è stata una giornata molto complicata, in cui ha brillato, per assenza, la Consob. Fin dalle prime contrattazioni il titolo dell’istituto senese viaggiava in perdita di circa il 9% e intorno a mezzogiorno si è finalmente capito perché: sul piano di salvataggio – oltre ai mille problemi noti – si era abbattuto anche il fuoco “amico” del fondo Atlante, impegnato da mesi a fianco della banca nella messa a punto della cartolarizzazione da oltre 27 miliardi di crediti in sofferenza. Alle 12:08, infatti, un comunicato di Mps informava il mercato di quello che evidentemente già qualcuno sapeva, e cioè che sabato 17 dicembre Quaestio sgr (la società di gestione del fondo Atlante) ha inviato una lettera a Siena sollevando “forti perplessità e tematiche” in merito al prestito ponte già sottoscritto da MontePaschi, prestito necessario per far decollare l’intera operazione di cessione delle sofferenze. A Quaestio non stanno bene i termini di quell’accordo e, aggiungeva il comunicato, tra la banca e Milano “sono in corso approfondimenti al fine di individuare eventuali soluzioni alternative”. In caso di mancato accordo – specificava il comunicato – “l’operazione non potrebbe concludersi in conformità ai termini ed alle condizioni dell’autorizzazione ricevuta dalla Banca Centrale Europea che prevede obbligatoriamente la conclusione dell’operazione entro il 31 dicembre 2016”. Cioè, in sostanza senza accordo salterebbe tutto il piano di salvataggio, perché il fondo Atlante è l’attore protagonista dell’operazione sui non performing loans e si era reso disponibile fin da subito a sottoscrivere anche per 1,5 miliardi di euro la tranche mezzanina della cartolarizzazione.

Una disponibilità che rischiava di sfumare a causa delle “forti perplessità e tematiche” sollevate da Quaestio riguardo un elemento – il finanziamento ponte erogato da Jp Morgan – nel quale Quaestio stessa non ha apparentemente alcun ruolo, ma che evidentemente in un qualche modo rischiava di penalizzarla. I termini della questione non sono stati resi noti e la società di gestione del fondo Atlante ha opposto un secco “no comment” alle richieste di spiegazioni. Alla luce di ciò che è successo nelle ore successive, però, è opportuno che su questo punto venga fatta la massima chiarezza, perché il sospetto di un ricatto è molto forte. In queste ore e in questi giorni le pressioni per fare andare in porto a qualunque costo quest’operazione sono state e continuano a essere fortissime. La stessa Consob presieduta da Giuseppe Vegas ha permesso che la banca estendesse la proposta di conversione in azioni dei bond subordinati anche agli obbligazionisti il cui profilo di rischio Mifid vieterebbe la possibilità di acquistare azioni. Una forzatura che vale oltre 2 miliardi di euro, ma non è certo l’unica.

Cosa si nasconde dietro la minaccia di Atlante di far saltare il tavolo? E perché in serata, subito dopo che il governo ha varato il paracadute salva-banche, Quaestio ha deliberato la sottoscrizione dell’impegno a investire nella tranche mezzanina dei crediti in sofferenza di Mps? Le “forti perplessità e tematiche” espresse sabato si sono sciolte come neve al sole. Che c’entri qualcosa la decisione del governo? In una scarna nota (quattro righe e mezzo) la società di gestione del fondo Atlante si limita a dire che la decisione è stata assunta “in seguito all’ottenimento di alcune condizioni mitiganti il rischio di rifinanziamento del senior bridge e visto il parere positivo espresso dal comitato investitori”. In effetti, nel pomeriggio Carlo Messina, amministratore delegato di IntesaSanpaolo (che è tra i maggiori finanziatori di Atlante), era intervenuto con decisione a favore del perfezionamento dell’operazione: “Siamo a favore di quest’operazione e di concluderla – ha detto Messina -. Ovviamente io parlo della mia quota e degli altri non so nulla . Ho voluto esplicitare in modo chiaro la posizione di Intesa”. E, forte del suo peso non solo come finanziatore, Messina è stato ancora più esplicito: “L’obiettivo di Atlante deve essere quello di concludere l’accordo. Atlante infatti è nato proprio per queste ragioni. La nostra posizione è chiara ed è per chiudere l’accordo”.

Insomma, giunti a questo punto – sembra dire l’amministratore delegato di IntesaSanpaolo – non c’è tempo per i ripensamenti, bisogna andare avanti ad ogni costo. E l’operazione sui non performing loans è il cuore dell’operazione di salvataggio del MontePaschi. L’esigenza di ricapitalizzare la banca, infatti, nasce proprio da lì, cioè dell’acquisto delle sofferenze lorde da parte di Atlante a un prezzo superiore a quel 20% che il mercato è correntemente disposto a pagare, ma inferiore al valore a quale qui crediti sono iscritti a bilancio. Per coprire questo “gap” sono appunto necessari i 5 miliardi che da mesi la banca e i suoi advisor stanno vanamente cercando di rastrellare sul mercato e che con ogni probabilità, in tutto o in parte, alla fine dovranno essere messi dallo Stato. E ora che il governo ha varato il decreto-paracadute per le banche sarà opportuno che venga spiegato molto bene e molto a fondo quali erano le “forti perplessità e tematiche” sollevate da Quaestio a un passo dalla scadenza del 31 dicembre che hanno rischiato di mandare a monte il salvataggio e che hanno fatto fare un brutto tonfo al titolo in Borsa (le azioni Mps hanno chiuso in calo dell’11% a 18,63 euro). Com’è cambiato il contratto del finanziamento ponte? Su chi ricadranno i rischi di rifinanziamento? Ci sono forse garanzie statali? Di sicuro con il paracadute statale Quaestio un risultato lo porta a casa e riguarda i futuri aumenti di capitale delle due banche venete – Popolare Vicenza e Veneto Banca – controllate quasi al 100%. A ricapitalizzarle ci penserà lo Stato e non il fondo Atlante. Ma forse c’è dell’altro che dovremmo sapere, perché se ci si riduce all’ultimo istante a mettere in discussione un’operazione – il salvataggio del MontePaschi – cui Quaestio assieme alla banca e ai suoi advisor ha lavorato per mesi, significa forse che quel piano così azzardato rischia di perdere molti pezzi nel corso dei prossimi mesi. E i costi rischiano di scaricarsi inesorabilmente sullo Stato. Siamo sicuri che Bruxelles e, soprattutto Berlino, lo permetteranno?

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