La campagna per il Sì al referendum costituzionale ha visto diversi esponenti del Partito democratico impegnati in prima linea a difendere la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (Legge 20 maggio 2016, n. 76) come una delle cose buone fatte dal governo Renzi e perciò meritevole di tutta la nostra gratitudine, da esprimersi ovviamente nel segreto dell’urna.

Anche volendo tralasciare l’ipocrisia di chi vorrebbe far passare come un grande regalo ciò che invece è un atto dovuto (già, perché vale sempre la pena di ricordare che, se non fosse stato per la Corte europea dei diritti umani, saremmo ancora a discutere nelle varie commissioni se all’unione civile trentennale si applicano o meno le norme sulla responsabilità degli amministratori nelle società in accomandita semplice), c’è un aspetto che pochi siti d’informazione hanno messo in luce e che invece merita attenzione. La legge prevede infatti l’emanazione di uno o più decreti attuativi da parte del governo, da effettuarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della stessa. Poiché la legge è entrata in vigore il 5 giugno 2016, tale termine risulta scaduto il 5 dicembre scorso.

Nelle more dell’esercizio di questo potere delegato, però, la legge prevede che il presidente del Consiglio dei Ministri emetta entro 30 giorni un decreto avente natura ed efficacia provvisorie, per questo chiamato “decreto-ponte“, che determini le modalità di costituzione delle unioni civili presso i comuni. Già, perché ci mancava solo che fosse la legge – per carità, chi può ragionevolmente aspettarsi una simile gesto di precisione legislativa? – a disciplinare compiutamente la questione, e d’altro canto senza una normativa di attuazione gli uffici dello stato civile non avevano alcuna base giuridica per poter procedere alla celebrazione delle unioni, se non appunto una generica costituzione, prevista dalla legge in parola, di un registro delle unioni civili. Ebbene, come al solito il ministro dell’Interno Angelino Alfano è arrivato in ritardo (strano, eh?), ma ha fatto il suo lavoro: il decreto-ponte è stato approvato il 23 luglio 2016.

È qui che sorge il problema. La natura ed efficacia provvisorie di detto decreto sono stato messe ben in luce dal Consiglio di Stato nel suo parere del 21 luglio 2016 (n. 01695) sullo schema di decreto trasmesso dal governo. Scrive il Consiglio di Stato:

Il governo dovrà con i decreti delegati di cui all’articolo 1, comma 28, della legge adottare scelte definitive e organiche, rivedendo, integrando e, ove necessario, correggendo le previsioni stabilite per la fase transitoria. Seppure, quindi, il futuro decreto disciplinerà – ma soltanto per garantire l’avvio del nuovo istituto dello stato civile – materie che il suddetto articolo 1, comma 28, lettera a), individua come oggetto di una legislazione delegata, nondimeno tale anticipazione in via transitoria si regge su un’autonoma giustificazione anche funzionale e non può pregiudicare l’assetto definitivo delle scelte da definirsi con i decreti delegati. Dalle superiori considerazioni discende, al contempo, l’esigenza che il Legislatore delegato si adoperi per un tempestivo esercizio della delega contenuta nel comma 28 della legge, dal momento che dalla (scongiurata) mancata adozione di una disciplina a regime non potrebbe scaturire, per le ragioni sopra accennate, l’effetto di una sopravvivenza delle norme recate dal decreto di cui allo schema in esame; dette norme regolamentari infatti, come già precisato, sono, per volontà legislativa, connotate da un’intrinseca e insuperabile provvisorietà che preclude – almeno in assenza di altri eventuali, futuri interventi normativi di rango primario – la stessa concepibilità di una loro ultrattività dopo la data del 5 dicembre 2016 (termine ultimo, fissato dal comma 28 dell’articolo 1 della legge, per l’esercizio della delega). In altri termini, la fonte regolamentare, attualmente idonea in considerazione della sua provvisorietà, non potrebbe considerarsi più tale ove destinata a rimanere, in un prossimo futuro, l’unica disciplina dell’istituto.

Tradotto per i non addetti ai lavori: se fate scadere il termine del 5 dicembre, non sognatevi che questo decreto-ponte possa ancora servire da base giuridica per la celebrazione delle unioni civili. Ma oggi il termine è passato, e quindi secondo il Consiglio di Stato questo decreto si è giuridicamente estinto e dell’esercizio della potestà legislativa da parte del governo non v’è traccia.

È vero che la legge sulle unioni civili prevede che i pareri delle Camere, necessari per l’approvazione dei decreti attuativi, possano essere trasmessi entro il 5 marzo 2017. Ma tale termine è contemplato a favore delle Camere nel caso in cui il Governo trasmetta gli schemi di decreti oltre un certo termine e non certo a favore del Governo perché se la prenda comoda. Inoltre, le Camere hanno fatto comunque i loro compiti a casa e trasmesso i pareri la settimana scorsa. Il governo avrebbe dovuto procedere con i decreti in questi giorni, ma è dimissionario. Quindi, a breve, niente decreti.

Dunque, facciamo i conti. Che bravo il governo che ha portato a casa la legge sulle unioni civili. Clap clap. Ah no, aspetta: mancano i decreti attuativi.

Insomma, prima ci hanno spacciato per un grande regalo una legge che invece ci era dovuta; e poi hanno rinviato i decreti attuativi, il motore necessario per fare funzionare la legge, con la superficialità e la leggerezza che solo chi non prende sul serio la questione può avere. Fare le cose con solerzia e nei tempi previsti era troppo difficile? No, aspetta. Se al referendum avesse vinto il Sì, il governo avrebbe potuto fare decreti in due minuti, magari con un clic. Quindi è colpa di chi ha votato no.

Allacciate le cinture, perché continueremo a sentirne delle belle, come sempre sulla pelle dei cittadini LGBT italiani.

 

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