E adesso la Salerno-Reggio Calabria chi la inaugura? Il presidente del Consiglio doveva farlo il 22 dicembre e a 18 giorni da quel famoso “giro in auto” i giornalisti stranieri, che ridacchiavano davanti all’ennesima promessa di completare l’A3, rischiano di rimanere delusi. E il Ponte sullo Stretto e i 100mila posti di lavoro? Scene da campagna elettorale in una delle regioni con il più alto tasso di disoccupazione d’Europa. In Calabria però il No ha raggiunto oltre il 67% dei voti e in provincia di Reggio ha superato il 68%.

Perché? Renzi potrebbe aver pagato lo scotto per le sue scelte. Dal governatore Mario Oliverio all’ex vicepresidente della giunta regionale Nicola Adamo passando per la moglie (la deputata Enza Bruno Bossio) e per il segretario regionale del Pd Ernesto Magorno. Una gruppo eterogeneo che in dote porta un sistema di potere capace di far sedere allo stesso tavolo ex dalemiani fulminati sulla via del renzismo, inciucisti buoni per tutte le stagioni e “capataz locali” entrati per la prima volta a Palazzo Campanella all’inizio degli anni ottanta. Rottamati travestiti da rottamatori approfittando che, nel novembre 2014 quando si è votato per le regionali calabresi, dal vocabolario di Renzi questa parola da mesi era già stata abolita.

Tutti insieme hanno partorito un 33% di Sì nonostante, nelle ultime settimane proprio in Calabria abbiano fatto tappa ministri come Alfano e Boschi e lo stesso Renzi. Il governatore Oliverio non è riuscito a vincere neanche nella sua San Giovanni in Fiore dove il Sì si è fermato al 44%. È andata peggio a Diamante, dove il segretario Magorno è stato anche sindaco e dove il No ha superato il 72%. A Cosenza, la città della deputata Stefania Covello (che fa parte della segreteria nazionale) e degli ex dalemiani Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio, il Sì è fermato al 32%. A Catanzaro e Crotone, il Pd ha raschiato il fondo con poco più del 30% di Sì nella provincia del capoluogo di Regione (territorio del consigliere Vincenzo Ciconte) e con il 28% nel feudo della famiglia crotonese Sculco.

Se Cosenza piange, Reggio Calabria non ride. Anzi si dispera. Il sindaco Giuseppe Falcomatà, renziano di ferro ed eletto nell’ottobre 2014 con il 60% dei voti, incassa una sonora sconfitta al referendum. In riva allo Stretto, infatti, il No ha sfiorato il 70%. Nelle scorse settimane Falcomatà ha ritirato le deleghe ai suoi assessori. Il rimpasto di giunta era fissato dopo il 4 dicembre e questo ha provocato diversi mal di pancia all’interno del suo partito. Se la Riforma Boschi fosse passata, il sindaco di Reggio sarebbe diventato senatore. Aspirazioni, a questo punto, frantumate da un referendum in cui i reggini hanno detto No a Renzi e allo stesso tempo, a livello locale, hanno lanciato un messaggio al sindaco.

“Prendiamo atto della netta volontà popolare – commenta il segretario regionale del Pd Ernesto Magorno – e da questa ripartiamo nella nostra azione politica. Il voto del Sud fotografa uno stato di malessere che non può passare in secondo piano. Rimaniamo fermamente convinti che la strada del rinnovamento non vada abbandonata, al contrario perseguita con forza e determinazione. Si apre una fase di difficile decodificazione sul piano strettamente politico ma il Pd tutto, a partire da quello calabrese, mantiene salda la barra del riformismo e della volontà di incidere positivamente nella vita del nostro Paese e della nostra regione, portando avanti e fino in fondo quei processi di rinnovamento che in maniera chiara ci vengono chiesti dai cittadini”. Parole obbligate quelle di Magorno. Caduto il premier, però, in Calabria i neo renziani hanno già la valigia in mano e si stanno organizzando per ritornare alla corte di Bersani e di D’Alema.

Non prima di una resa dei conti. All’interno del partito c’è chi punta il dito contro i suoi compagni. Un dirigente si sfoga: “Penso che molti consiglieri regionali non abbiamo fatto niente in questa campagna elettorale. Ci sono parlamentari di Cosenza e Lamezia che hanno fatto solo parate”.

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