Uno dei fenomeni più caratteristici di questi “tempi referendari” è l’aggressività di cui fa mostra “quell’accozzaglia” di giovini dall’eloquio audace e malaccorto che promuove lo stravolgimento della Costituzione. Un vero e proprio linguaggio millenarista da après moi le déluge: “Se non passeranno le riforme, il nostro Paese sarà invaso dalle locuste, le piaghe di Egitto si abbatteranno su di noi”, e via di questo tono.

Pur non approvando i metodi di costoro, né tantomeno il loro messaggio, comprendiamo, tuttavia, che essi non possano fare a meno di difendere, con ogni mezzo, quelle che chiamano “riforme” perché esse hanno un significato piuttosto cruciale, se si considerano nel loro insieme, specie se osservate alla luce della scriteriata legge elettorale recentemente varata che consentirebbe al giovane demagogo che capeggia il partito “di lotta e di governo” di disporre di un parlamento di fedeli accoliti, la cui nomina sarebbe a suo esclusivo arbitrio.

Sgombrando il campo dalla propaganda elettorale che, col suo linguaggio da réclame (“le riforme”, “la modernizzazione del Paese”, ecc), ha un po’ intorbidito le acque, è bene chiedersi quale sia il fine reale di quest’attacco belluino alla Carta Costituzionale.

Riteniamo che la risposta a questa domanda sia piuttosto semplice, ovvero consentire al giovane rignanese di porre i centri decisionali del Paese “al riparo dal processo democratico”, come ebbe a dire Mario Monti nel 1998, descrivendo la modalità di selezione dei vertici dell’Unione europea (Mario Monti, Intervista sull’Italia in Europa).

Ebbene, oggi, a distanza di quasi vent’anni da quelle affermazioni, pare che sia giunta l’ora di porre al riparo dalla volontà delle masse non solo le oligarchie dell’Unione Europea, ma anche i governi dei paesi vassalli come l’Italia, affinché possano continuare indisturbati la loro opera di volonterosi carnefici dei propri concittadini per conto delle élite non elette (esplicite o implicite) che governano il continente

Un’interessante chiave di lettura su questo tentativo di demolizione del sistema democratico del nostro Paese (le cosiddette “riforme” costituzionali”), può essere trovata nella lettura di alcuni passi dell’opera di Foucault, Naissance de la biopolitique.

Foucault era filosofo piuttosto dozzinale, ma eminente ermeneuta e, nel testo in questione, compie un’acuta analisi della genesi di quel vasto e mal compreso fenomeno che prende il nome di “neoliberalismo”. Tuttavia, non è sulla generalità dell’opera che, in questa sede, vorremmo soffermarci, bensì su alcune parti specifiche, nelle quali si descrive la reazione dei neoliberali in nuce, dell’epoca, all’avvento del nazismo che venne da loro interpretato come un fenomeno di “crescita illimitata del potere dello Stato”. “Grave errore” ammonisce il filosofo: il nazismo non cagionò affatto una crescita illimitata dello Stato, bensì fu un “tentativo sistematico di cancellare lo Stato”.

Lo Stato nazionalsocialista era “svuotato dall’interno“, non soltanto perché era governato da una dittatura ma, soprattutto, perché il suo funzionamento non verteva più sul principio politico di gerarchia, autorità  e responsabilità degli apparati e delle funzioni politiche statali, bensì nel rapporto diretto tra il Volk (il popolo) e il Führer (il capo). Il partito era l’apparato esecutivo del Führer (e quindi della volontà del popolo), pertanto “l’apparato legislativo che regolava rapporti tra amministrazione e partito faceva ricadere tutta l’autorità sul partito, a scapito dello stato”.

Il senso ultimo dello stravolgimento della Costituzione voluto fortemente dalla corte dei miracoli, attualmente al governo del nostro Paese, è proprio questo: sostituire il partito (come espressione del Capo e quindi di un’arbitraria rappresentazione della volontà del popolo) allo Stato: il “Partito della nazione”.

Orbene, non ci interessa, in questa sede, costruire arditi parallelismi col passato, tuttavia, possiamo individuare due essenziali affinità epistemologiche: la prima era l’identificazione di partito e nazione, la seconda, che il Partito dipendeva dal capo, non avrebbe potuto esistere il nazionalsocialismo senza il Führer.

Tutto questo ricorda, in maniera inquietante, il summenzionato “Partito della Nazione”, fortemente voluto dal giovine rignanese che crede di interpretare la volontà del popolo. La tragedia di allora rischia di ripetersi come farsa: il “Partito della Nazione” si paleserebbe, in realtà, come “Nazione del Partito” (determinazione possessiva).

Se fossero approvate le esiziali riforme volute dal rignanese,  il nostro Stato verrebbe svuotato: la governance (come amano dire “là dove  il shish suona”) sarebbe interamente nelle mani del “Partito della Nazione”, ovvero nelle sue. Ogni controllo democratico, ogni equilibrio dei poteri, sarebbe cancellato, e così la stessa espressione della volontà dei cittadini.

Certo, sarebbe più facile governare. I regimi despotici sono senza dubbio più efficienti da questo punto di vista: le decisioni non sono sottoposte ad alcun dibattito, ad alcun controllo e non corrono il rischio di essere ostacolate dal voto popolare. La giovanilistica efficienza finalmente trionferebbe.

Come scrisse Adorno (Minima Moralia): “Oggi ci troviamo di fronte a una sedicente giovane generazione, che, in tutti i suoi moti ed impulsi, è intollerabilmente più adulta di quel che i genitori non siano mai stati; che ha rinunciato prima di qualunque conflitto, e che trae da questa rinuncia la sua forza: ostinata, autoritaria e irriducibile“.

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