Una volta, in Aula, al Senato, si era già paragonato a Giacomo Matteotti, il deputato socialista ammazzato dai fascisti. “Anche Matteotti venne ucciso – urlò rivolto al presidente Piero Grasso – vorrà dire che verrò ucciso anche io per aver parlato”. Grasso lo guardò incredulo, interdetto: “Ma chi è che la minaccia, scusi?”. Oggi invece tocca a Piero Calamandrei essere accostato a Lucio Barani, capogruppo dei verdiniani di Ala al Senato, la cintura di sicurezza del governo Renzi. Il senatore lunigiano si definisce infatti il “New Calamandrei“, così, all’inglese, e non si capisce perché. Detesta Prodi, il Sì del Professore gli dà fastidio: “A noi socialisti non fa piacere”. Anzi, secondo lui l’uscita del fondatore dell’Ulivo è “un’autorete che annulla il vantaggio dato da Mario Monti quando ha dichiarato che voterà No. Dobbiamo recuperare in questi due giorni”.

Subito prima si era toccato i gioielli e nel frattempo gonfia il petto: “Abbiamo scritto una pagina di storia perché senza di noi non c’era il referendum”. “Noi”, Ala, il pezzo di Nazareno rimasto con il Pd e la maggioranza a votare le riforme costituzionali e non solo. “Noi, gli indispensabili”: una frase che ricorre spesso nel vocabolario verdiniano: “La legge passerà grazie a noi: in 19 sosterremo e voteremo le unioni civili” disse per esempio Vincenzo D’Anna, suo collega di partito e protagonista delle performance di Ala. E’ grazie ai consigli di Barani, che nella vita farebbe il medico dello sport, che D’Anna perse diversi chili grazie a una dieta speciale.

E erano insieme, uno accanto all’altro, Barani e D’Anna, in un voto decisivo sulla riforma costituzionale, mentre il primo mimava una fellatio rivolto alla senatrice dei Cinquestelle Barbara Lezzi. D’Anna lo difese parlando di un “fallo di reazione”. Per giustificarlo volle rassicurare i colleghi senatori che Barani “non è uno psicopatico”, anzi, è “un medico, una persona perbene, non uno che frequenta trivii e angiporti”. Pochi giorni dopo circolò un altro video in cui D’Anna poco prima o poco dopo il gesto di Barani, si indicava le parti intime, sempre con gli occhi rivolti ai banchi del M5s.

Ala è stata decisiva, se non indispensabile, nel percorso di approvazione della legge Boschi. “Sono orgoglioso – dice Barani – di far parte di un gruppo che ha permesso agli italiani di andare a votare il 4 dicembre”. Barani. Senatore dopo essere stato deputato, sempre con Berlusconi. Berlusconiano dopo essere stato ultrasocialista, sempre con Craxi. Prima di essere il capo dei senatori verdiniani, era noto quasi solo per questo: per tenere sempre il garofano nel taschino. Il giorno dei 15 anni dalla morte del leader socialista ad Hammamet (gennaio 2015) indossò una maglietta con scritto “Je suis Craxi“: erano passati 11 giorni dalla strage nella redazione di Charlie Hebdo. A Aulla, in Lunigiana, dov’è stato sindaco, ha fatto erigere una statua in onore di Benedetto detto Bettino.

Sindaco di Aulla prima e Villafranca in Lunigiana poi. Indagato per corruzione perché, secondo l’ipotesi dei magistrati, assicurò controlli più blandi su un’operazione di bonifica in una discarica in cambio di cene, vino e un’assunzione. A processo per disastro e omicidio colposo plurimo per l’alluvione in Lunigiana nel 2011: secondo i magistrati (che lui ebbe a definire “belve feroci assetate di sangue di politici”) dette l’ok a troppi permessi edilizi, anche a case e scuole nell’alveo del fiume Magra. Condannato dalla Corte dei conti per una storia di doppi rimborsi: presenziava e si faceva rimborsare da parlamentare e da sindaco. Quando i giornali gli chiesero di spiegare, rispose definendo il pm che lo indagò “comunista”. Siccome era contrario all’allungamento della prescrizione nel 2015 firmò tre emendamenti provocatori che prevedeva che i responsabili di reati contro la Pubblica amministrazione doveva essere sottoposto a fucilazioni di piazza, esposizione al pubblico ludibrio e anche alla pena di morte. “Sono un medico – spiego al fatto.it – La giustizia è malata e il mio compito è guarirla”.

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