“Garantiamo massima attenzione per le regioni colpite dalle alluvioni […] E’ prioritaria la cura per il dissesto idrogeologico, l’attenzione al disagio idraulico e oggi con il patto si mette un ulteriore tassello nella giusta direzione, cioè prevenire invece che ricostruire dopo”. Parola di Renzi. L’occasione la firma a Palazzo Tursi, dell’annunciato Patto per Genova.

Già, il dissesto idrogeologico e il disagio idraulico, che nel savonese si riaffacciano. Case schiantate dalla furia delle acque, lunghi tratti di ferrovie sospese nel vuoto. Strade sprofondate. Collegamenti interrotti. Le montagne che scaricano a valle fango e detriti. Persone salvate dai vigili del fuoco. L’entroterra ma anche la costa. Cisano sul Neva, Albenga, Pietra Ligure e diversi altri comuni. Un “tutto già visto”. In altri anni, non solo altrove. Certo, ora c’è Casa Italia, il “piano per la messa in sicurezza del territorio nazionale”. Il premier non ha dubbi. Nulla sarà come prima.

Ma da queste parti non ne sembrano poi così convinti. Di pioggia ne è caduta tanta. I dati sulle precipitazione parlano chiaro. Ma gli eventi meteorologici sono la concausa di una situazione da allerta rossa. A fare la differenza ancora una volta c’è l’abuso dei territori. Un utilizzo irragionevole che a seconda dei casi prende le forme del consumo di suolo, dell’urbanizzazione selvaggia, dell’abbandono delle campagne e del disboscamento delle montagne. Un disastro “costruito” negli anni. Dalla costa verso l’interno. Come se i territori non fossero i luoghi nei quali si abita, ci si sposta. Come se i territori non fossero parte noi. Di più, non si identificassero in noi.

Eppure il “Ponente ingrato, rovinato dalla speculazione e dall’imprevidenza”, descritto da Michele Serra nel 1986, è un corpo malato, da tempo. Ma evidentemente non abbastanza malato da suscitare preoccupazione. Secondo il dossier Ispra sul “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, relativo al 2015, nella provincia di Savona nel 2015 sono stati impermeabilizzati 12.139 ettari di territorio, pari al 7,85 dell’intera superficie. Non solo. Continua l’incremento rispetto al 2012. E i risultati si vedono, purtroppo.

Renzi è venuto da questi parti. Il motivo, neppure a dirlo, il referendum. Naturalmente ha parlato di dissesto idrogeologico, di prevenzione, di aiuti. Ma le ragioni del Sì sono state centrali. “L’importante è imparare a progettare il futuro. Con un grande architetto ligure come Renzo Piano stiamo facendo un grande lavoro di ricostruzione del nostro Paese e di valutazione delle priorità” ha detto il Presidente del Consiglio al Teatro Chiabrera di Savona, aggiungendo come “il voto Sì è un salto nel futuro, il No per molti aspetti è un salto nel vuoto. Abbiamo bisogno di un Paese che funzioni”.

Il sisma del Centro Italia e il conseguente piano d’emergenza e ancor più le ultime alluvioni, comprese quelle del savonese, sembrano episodi imponderabili. Quasi si trattasse di eventi soprannaturali. Renzi assicura interventi. Ogni cosa andrà a posto. Le chiese crollate nel maceratese per il sisma e gli alvei dei corsi d’acqua tracimati per le alluvioni. I borghi delle Marche e dell’Umbria rinasceranno, i centri del ponente ligure finalmente messi in sicurezza. Il Sì metterà a posto ogni cosa. Il Sì permetterà al Paese di funzionare. Fino al 4 dicembre ascoltare da Renzi e dai suoi sherpa cose diverse sarà impossibile.

Poi, bisognerà pure che il Presidente del Consiglio dedichi qualche parola a spiegare perché nonostante le riforme annunciate l’Italia continui a essere un Paese in ostaggio di temporali e alluvioni. La velocità che reclama, il nuovo che sponsorizza, nella sostanza non hanno mutato i territori. Non hanno regalato nulla di buono. Il pericolo rimane.

“Nella distruzione della vostra riviera è responsabile tutta la vostra classe dirigente, non soltanto quella politica. Ne sono responsabili quella imprenditoriale, quella finanziaria, quella mercantile, quella alberghiera. Tutti. Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall’irruzione dei cantieri, fabbriche di miliardi e di posti di lavoro; dalla speculazione edilizia che prenderà d’assalto il promontorio […] Che pacchia! Una pacchia che durerà sei, sette, dieci anni, per poi ridurre questo angolo d’immeritato paradiso alla solita colata di cemento e di asfalto”.

Lo scriveva sul Corriere della Sera Indro Montanelli l’8 aprile 2001. Il problema è che “la classe dirigente, non solo quella politica”, della quale Renzi è il più recente rappresentante, ha ridotto “una colata di cemento e di asfalto” l’Italia intera. A dispetto di quel che assicura il presidente del Consiglio e Segretario del Pd, il Sì al Referendum non metterà tutto a posto. Anzi.

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