“La mia è una storia di speranza. Significa che non è mai finita” disse Lucia Annibali poco dopo la sentenza che confermava la condanna a 20 anni per il mandante della sua aggressione con l’acido. Ma oggi quella parte della sua storia sembra del tutto chiusa perché gli ermellini hanno depositato le motivazioni del verdetto.  Per “i gravissimi danni fisici, morali e psicologici, lo sfregio permanente del viso e la deformazione dei lineamenti del volto”, la stessa scelta di usare l’acido come arma per fare più male, e poi il “regime di vita, l’assunzione di stupefacenti, la condotta processuale e l’assenza di pentimento” Luca Varani non meritava, secondo i giudici nessuno sconto di pena. Non c’è nessun dubbio che l’uomo fosse “il mandante” dell’attacco con l’acido alla Annibali, compiuto dai due albanesi Altistin Precetaj e Rubin Talaban nel 2013; che avesse agito con premeditazione, con “crescente invasione della vita privata” di Lucia, fino a maturare l’intento punitivo, l’irruzione a casa dell’ex fidanzata per manomettere la sua cucina, e l’idea di procurarsi dell’acido per farle cancellare il volto. Ci è riuscito solo in parte. Ora Lucia ha un viso diverso e una nuova vita.

La prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della condanna a Varani, che arrivano all’indomani della prima tv del film sulla vicenda dell’avvocatessa di Pesaro seguito da oltre 4 milioni e 700 mila spettatori, evidenzia come “le sentenze di merito indicano tutti gli elementi che in una progressione evolutiva delle investigazioni hanno indotto a ritenere provato con certezza il ruolo dell’imputato nella sua qualità di mandante”. La pena è salita fino a 20 anni per la mancata concessione delle attenuanti generiche, per l’aumento per la continuazione e la premeditazione. Gli elementi di prova “sono molteplici”, dalle dichiarazioni che Lucia Annibali, che “nell’immediato, esternò il suo sospetto”, a quelle dei soggetti ascoltati, ai “riscontri oggettivi offerti dalle investigazioni che hanno permesso di rilevare tracce di acido sia sulla persona di Varani sia sulla sua vettura”.

Tutti tasselli che vanno nella stessa direzione della “confessione” che l’uomo aveva fatto al suo compagno di cella, allo scopo di prendere contatto coi due albanesi per concordare una versione. I giudici di merito, hanno ricostruito “ampiamente il fatto, collegandolo alla relazione sentimentale” tra Varani e Lucia conclusa nell’ottobre 2012, qualche mese prima dell’attacco. La Cassazione, sottolinea come nel processo si è ampiamente dimostrato il reato di atti persecutorio: si è dato conto “della continua presenza del Varani nello stabile della Annibali, delle incursioni presso la struttura sportiva frequentata dalla ragazza e dello stato d’animo che comportamenti siffatti avevano ingenerato nella vita” di Lucia. Varani era arrivato, come ricostruito in sentenza, ad iscriversi nella piscina frequentata dalla donna, dando un nome falso, Marco Guerra, e un numero di cellulare inesistente al solo scopo di tenerla sotto “controllo” ed entrare negli spogliatoi femminili dove teneva le sue cose. Si era poi evidentemente impossessato delle sue chiavi, delle quali Lucia aveva copia in macchina, ma non aveva più trovato. “Non possiamo che essere soddisfatti – ha detto l’avvocato Francesco Coli, legale di Lucia Annibali -. Si chiude definitivamente questo capitolo. D’altra parte, non avevamo dubbi fin dall’inizio che la verità sarebbe emersa, e è emersa in tutti e tre i gradi di giudizio. Va benissimo”.

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