Uno degli argomenti più utilizzati nelle ultime settimane per convincere gli indecisi a votare Sì al referendum di dicembre riguarda la velocità del processo decisionale. L’idea propagandata è che una delle cause principali della crisi politica italiana sia l’impasse in cui il decisore si trova dovendo negoziare tra maggioranze variabili tra Senato e Camera e tra esecutivo e Parlamento. L’argomento è oggetto di così tanta attenzione da dare l’impressione alle volte che a essere sacrificato sull’altare della retorica politica sia un tema ben più rilevante della velocità del decisore, ovvero quello del rapporto tra qualità delle decisioni politiche e qualità della democrazia.

Una decisione politica in un regime democratico è valida nella misura in cui si basa su un processo democratico trasparente e consapevole. Ora un processo di questo tipo è un qualcosa di molto diverso da un’operazione di mero accentramento del potere decisionale in mano a un’oligarchia. I presupposti della qualità della democrazia sono piuttosto severi.

Il primo presupposto consiste nella cosiddetta rule of law, ovvero la capacità del sistema democratico di garantire il rispetto della legge. Abbiamo una condizione simile in Italia? Non pare anzi al contrario il sistema legislativo è talmente farraginoso e costruito per riparare dalle sanzioni i malfattori che solo chi non ha denaro per garantirsi un decente avvocato rischia di essere punito per le violazioni che ha compiuto.

Il secondo presupposto per parlare di qualità della democrazia è la libertà di informazione senza la quale nessun cittadino può formarsi una opinione consapevole sui fatti. Anche a questo riguardo i passi da fare sono parecchi considerando che secondo la classifica di Reporters sans frontières (Rsf), il paese è scivolato al 77° posto della scala mondiale per la libertà di stampa sotto Nicaraugua e Botswana e che esiste un blocco di monopolio delle informazioni di natura spaventosa che da decenni influenza e condiziona le preferenze dell’opinione pubblica.

In terzo luogo, la qualità della democrazia, è data dalla accountability ovvero dalla capacità di garantire il rendiconto delle decisioni prese e delle loro conseguenze e anche in questo caso tale condizione è collegata alla possibilità del cittadino di valutare in modo appropriato il modo con il quale sono state assunte le decisioni e gli effetti da esse prodotte. Il monopolio informativo e gli investimenti sempre più scarsi in istruzione e formazione fanno diventare deflagranti su questo piano i conflitti di interesse abnormi tra chi dovrebbe informare in modo corretto sui fatti e chi assume le decisioni. Così venti anni di berlusconismo sono ancora oggi etichettati come mancata rivoluzione liberale invece che ventennio della corruzione permanente, mentre due anni e mezzo di riforme di Renzi sono propagandate come il risveglio della nazione e non come un periodo di deregulation dei mercati del lavoro di cui si faticano a vedere i benefici reali.

Infine la qualità della democrazia dipende dal fatto che esistano leggi e impedimenti capaci di evitare che un singolo o un oligarchia possa per usare le parole di Montesquieu “trascinare tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi capricci”. E qui si arriva di nuovo al punto dei poteri e contropoteri che consentono di frenare il libero arbitrio di persone o gruppi politici che infrangono la legge o si pongono per qualche motivo al di sopra di essa. A causa delle legislazioni approvate dai partiti politici che hanno governato l’Italia negli ultimi anni nel nostro paese manca quella che Montesquieu il grande filosofo liberale definiva la condizione prima per evitare la degenerazione in questa direzione della democrazia ovvero la possibilità che “il potere arresti il potere”. Ma se il potere giudiziario non può fermare il potere politico che tipo di decisioni sono possibili e chi è in grado di opporsi se non un’opinione pubblica non sclerotizzata dal controllo dell’informazione e dei media da parte dei poteri forti?

L’Italia dei decisori forti prospettata da molti sostenitori del Sì al referendum costituzionale è dunque un paese che ancora una volta in assenza di questi presupposti democratici di base rischia di affidare le sue sorti alla figura di un demiaturgo a cui sono attribuiti poteri decisionali eccezionali. Prima il suo nome era Berlusconi, ora è Renzi. Domani speriamo sia una crescita della consapevolezza che la democrazia non si costruisce per delega a un’oligarchia senza controlli sostanziali, ma va coltivata giorno per giorno da ciascun cittadino con passione e senso di responsabilità civile.

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