Sono poveri e hanno freddo, vivono in case buie, prive di riscaldamento, non fanno sport perché costa troppo e le famiglie stentano ad arrivare a fine mese. Non vanno in vacanza, ma neanche in gita, ai musei o ad ascoltare un po’ musica. Non giocano come potrebbero, non mangiano come dovrebbero, non assaporano i cibi, ma neanche la loro infanzia e soprattutto non vanno a scuola. L’abbandonano presto, il prima che si può, per cercare di sfangarla con quel lavoro che poi chissà se arriva.

Siamo in Italia, nel 2016 e la fotografia è quella scattata da Save the Children nel VII Atlante dell’Infanzia (a rischio) 2016 ‘Bambini e Supereroi’ pubblicato quest’anno per la prima volta da Treccani. Il paese descritto è quello dove un minore su tre è a rischio povertà ed esclusione sociale, quello dove i bambini/e sono i più poveri d’Europa: quasi uno su tre (precisamente il 32,1%) è a rischio povertà contro una media Ue del 27,7%.

I bambini italiani vivono di mancanze. E non parliamo di esigenze trascurabili o secondarie, ma di bisogni primari, che pensavamo soddisfatti per sempre e per tutti. Invece quattro su dieci soffrono il freddo d’inverno perché i loro genitori non possono permettersi di riscaldare adeguatamente la casa (il 39% rispetto a una media dell’Unione europea che si attesta al 24,7%). Più di un minore su quattro abita in appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano e più di un bambino su 20, nei primi 15 importantissimi anni di vita, non riceve un pasto proteico al giorno, non possiede giochi, non ha uno spazio adeguato a casa dove fare i compiti e non pratica sport.

Su tutto, spicca un record che vede l’Italia come il Paese europeo con il più basso tasso di natalità: 485.780 bambini, un livello di guardia mai oltrepassato dall’Unità d’Italia. Sono soprattutto le grandi città a fagocitare più di tutte il diritto all’infanzia, con Roma in testa: lì un bambino su 10 vive in condizioni di povertà. Quel bambino è il simbolo di una sconfitta collettiva e segnala inequivocabil che stiamo viaggiando sul binario sbagliato: quello dell’esclusione al posto dell’inclusione.

Me ne accorgo da mamma, quando raccolgo bizzeffe di spunti e inviti per eventi, laboratori e spazi destinati ai bambini. Ce ne sono in giro talmente tanti, rispetto a quando ero piccola io, che questo mondo sembrerebbe davvero disegnato a misura di bambino. Ma di quale bambino? Il punto è questo. Stiamo strutturando un’infanzia stratificata tra chi può e chi non può. Chi non può resta fuori, perché le cose da fare ci sono, ma costano tanto.

E se l’infanzia svantaggiata è un peso, quell’altra è un business. Gli uni e gli altri, in questa separazione sociale e culturale, c’è tutto il fallimento di chi, dalle istituzioni pubbliche al privato, scolpisce quel divario tra piccoli che diverrà un cratere da grandi. Per i bimbi senza infanzia non ci sono supereroi nelle nostre città. Di fronte a loro stiamo fallendo, falliamo quando escludiamo, quando mettiamo una tassa d’ingresso sulle scoperte dei nostri figli, quando paghiamo per farli giocare, quando non riscaldiamo le loro case, ma neanche le loro scuole. Falliamo quando le amministrazioni, come quella di Roma, non si accreditano neanche all’Inps per il bonus asilo nido e tagliano fuori centinaia di famiglie da un diritto previsto da una legge dello Stato. Falliamo quando promettiamo di realizzare città a misura di bambini. Andando avanti così, saranno pochi a percorrerle.

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