Non è configurabile il reato di terrorismo internazionale di matrice islamica a carico di imam o dei loro seguaci impegnati in attività di indottrinamento e proselitismo “finalizzata ad indurre una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa”, se la “formazione teorica” degli aspiranti kamikaze non è affiancata anche con “l’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento”. Lo afferma la corte di Cassazione, che ha depositato oggi le motivazione con cui, nel luglio 2016, ha annullato “perché il fatto non sussiste” le condanne inflitte a quattro presunti jihadisti, arrestati ad Andria nell’ambito di una operazione anti terrorismo.

L’indottrinamento, secondo i supremi giudici, “può costituire senza dubbio una precondizione, quale base ideologica, per la costituzione di un’associazione effettivamente funzionale al compimento di atti terroristici, ma non integra gli estremi perché tale risultato possa dirsi conseguito”. Ma chi si dedica “solo al proselitismo jihadista”, spiega il verdetto, “non rischia condanna ma – ‘al più’ – misure di prevenzione come l’espulsione”.

Gli imputati erano adepti dell’Imam di Andria,  Hosni Hachemi Ben Hassen, espulso su ordine diretto del ministero dell’Interno nel luglio scorso. Sul suo telefono nel gennaio 2009 viene intercettato questo sms: “Dio prendi il mio sangue come vuoi e disperdi il mio corpo per il tuo disegno come vuoi. Amen!”. Ed è soltanto una delle tante intercettazioni depositate agli atti. “Sono al mio ultimo punto Sceicco!”, si legge ancora in un’intercettazione, “Preparato! … Se Dio vuole, spero che Dio lasci disperdere … prega e dici: “Possa Dio sparpagliare i nostri corpi per la sua causa…..voglio che le mie carni vadano in pezzi! … Voglio che la mia carne vada in pezzi!”.

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