Il delirio totale della cosiddetta “intellighenzia”, oltremodo afflitta dalla vittoria di Trump, è qualcosa di esilarante. Un manipolo di salottieri fieramente canuti che non ne indovina una dall’ultimo scudetto della Fiorentina, convinti che la vita somigli al loro attico, che il volgo sia identico a quello dei libri di Recalcati, che Londra l’abbia inventata Severgnini e Washington l’abbia fondata Don Zucconi.

Un esercito di raffinatissimi pensosi che ora vomita bile, stigmatizzando l’ignoranza della vile plebe e maledicendo addirittura il suffragio universale (come Napolitano, noto nostalgico dei democraticissimi carri armati del ’56). È la stessa gente che nel 2008 era convinta che Veltroni avrebbe vinto. È la stessa gente che l’anno prima “ma che ci vai a fare a raccontare il V-Day, tanto Grillo è morto da un pezzo”. È la stessa gente che “Bersani ce la farà, dove vuoi che vadano i grillini”.

La stessa intellighenzia infallibile della Brexit, di Cameron, della Clinton. Intellettuali, poco veri e molto presunti, da decenni scollegati con la realtà, rinchiusi (senza saperlo) nella loro torre d’avorio satura di boria e banalità. Con le loro opinioni sempre pettinate, filogovernative e mai coraggiose. Con quel loro gusto liberal per l’ovvio. Con quei loro tg zero attraverso cui arringare non tanto chi li segue, ché ormai son giusto due o tre, quanto quel che resta del loro ego. Con quella bella idea di democrazia secondo cui se leggi La Repubblica e voti come loro sei un cittadino degno, mentre se non lo fai sei un populista schifoso che di notte ha le polluzioni pensando a Marine Le Pen. Che bella gente, che bella intellighenzia.

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