Amici milanesi mi informano che l’ex sindaco ambrosiano, il rifondarolo di destra Giuliano Pisapia, si sta aggirando nelle assemblee scolastiche della città nelle vesti di testimonial del Sì al referendum del 4 dicembre.

Se finora l’ineffabile ciuffettone era rimasto in campana, ribadendo che non si pronunciava sul quesito perché intendeva consacrarsi alla riflessione sull’argomento, ora la riserva è stata sciolta. E dato che, su una questione tanto palese, da approfondire non c’era un bel niente, si può ben dire che la mossa precedente risulta nient’altro che un espediente tattico per creare suspense e preparare il terreno alla propria entrata trionfale nel campo del mainstream controriformista.

Per quanto riguarda l’obiettivo di tanto armeggiare, ora ci sono due scuole di pensiero: secondo la prima, nell’ipotesi di vittoria del Sì, trattasi dell’acquisizione di benemerenze alla corte del premier per un’investitura ministeriale al prossimo rimpasto (magari alla Giustizia, in sostituzione dello smunto Andrea Orlando); la seconda ipotizza niente meno che una personale “messa in riserva” – qualora risultasse vincente il No – come possibile sostituto di un Renzi rottamato. Sempre restando parcheggiato negli acquartieramenti della corporazione trasversale del potere (dai politicanti imprenditori di se stessi al capitalismo relazionale, dalla Massoneria fiorentina a JP Morgan), interessata a proseguire nella transizione dalla democrazia alla post-democrazia per raggiungere il traguardo della cosiddetta “democratura” (lo svuotamento autoritario delle regole democratiche proprio degli Orban e degli Erdogan). In ogni caso un evidente calcolo opportunistico giocato in due fasi: prima quella dell’anima bella, pensosa e compunta, impegnata a informarsi, poi quella militante determinata a salire sul carro della personale convenienza.

Noto per inciso che un naturale supporter dell’operazione renziana – il presidente Cei Angelo Bagnasco, ben noto per l’appoggio fornito a ogni operazione che punti a riportare indietro le lancette della civiltà democratica (in questo caso la riproposizione di un regime censuario, ossia a egemonia degli abbienti, e con diritto di voto limitato) – abbia pensato bene di mimetizzarsi nella fase uno, come il primo Pisapia. Non ci sarà da stupirsi se – nel rush finale delle prossime settimane – troveremo il cardinale arcivescovo di Genova schierato con l’animula vagula di Gianni Cuperlo a difesa del combinato disposto Italicum-Riforma Boschi. Solo che il converso Cuperlo spera di aver meritato con il suo voltafaccia una poltrona sicura anche nel prossimo parlamento, mentre il compagnon de route Bagnasco si limita a salivare per ogni operazione retroversa; come un cane di Pavlov al suono della campanella.

Tirando le fila: se si scorre questa galleria di capolavori del cinismo funambolico, emerge un ulteriore tratto che accomuna Matteo Renzi a Silvio Berlusconi: l’abilità nel trarre fuori il peggio da chi gli sta intorno. Si pensi – ad esempio – al Roberto Benigni, già ammiratore della “Costituzione più bella del mondo” e ora avallante della sua manomissione. Insieme agli altri Pangloss; Massimo Cacciari, Michele Serra e varia compagnia alloggiata nei piani alti del Palazzo (timorosa che il salto nel buio del No potrebbe sloggiarla). Mentre il seduttore di Rignano, specializzato a vendere come up-to-date il solito vintage, rifà perfino il dadaismo di Marcel Duchamp: quello faceva i baffi alla Gioconda, lui li fa alla Costituzione.

Sabato ero a Pisa per una presentazione e una signora di orientamento conservatore mi ha spiegato perché intende votare No: “Di Matteo Renzi io ne ho conosciuto una cinquantina: i ragazzotti fiorentini che attorno a Ponte Vecchio vendono ai turisti finto antiquariato”.

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