Tra le prove più difficili degli ultimi anni, rientra certamente quella di avere dovuto fare finta di conoscere il russo. Perché Alessandra Giuntini, regista e attrice 33enne, quando ha superato il suo provino per entrare nell’Accademia Teatrale di San Pietroburgo, di russo conosceva giusto tre parole. “Sapevo dire solo ‘Mi chiamo Alessandra e sono italiana”. Ma quel provino, nel 2006, era la sua ultima possibilità. Dai 19 ai 23 anni, infatti, la giovane di Pistoia aveva bussato (inutilmente) alle porte delle principali scuole di teatro italiane: quella del Piccolo e la scuola Paolo Grassi, poi l’accademia dei Filodrammatici di Milano e quella dello Stabile di Genova.

“Dentro di me sentivo solo una voce. Che diceva: ‘Molla. Non sei un’attrice, rinuncia a questo sogno da bambina stupida’”. Poi, l’ultimo colpo di coda: lasciare i lavori da commessa e barista per preparare un ultimo provino per l’Istituto russo di arti sceniche. “Mia madre è georgiana, quindi la cultura russa mi era molto vicina, e in più volevo studiare il metodo Stanislavskij”. Un unico problema: non sapere neppure una parola della lingua di quello stato.

Ora Alessandra è una regista avviata in terra russa, dove negli ultimi due anni e mezzo ha messo in scena ben quattordici spettacoli. Ma, ripensando a quel primo colloquio, non riesce a non sorridere. “Ho cercato di imparare a memoria più frasi fatte possibili, per sembrare intelligente. Diciamo che sono riuscita a ingannarli: erano convinti che io sapessi il russo”. Il resto del provino si è svolto tra canti, balli e “versi di animali”. Fino al verdetto finale: entro due mesi, sarebbe entrata in accademia. “Ho capito che in situazioni difficili il tuo cervello può dare risultati sorprendenti”, racconta, mentre ricorda come, al terzo mese di studi, già riuscisse a capire le lezioni. Cinque anni dopo il diploma, e da allora, una carriera che non si è più fermata.

“Quando ero ancora in Italia, dentro di me sentivo solo una voce. Che diceva: ‘Molla. Non sei un’attrice, rinuncia a questo sogno da bambina stupida’”

Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini, La strada di Federico Fellini, La bottega del caffè di Carlo Goldoni, La bisbetica domata di Shakespeare. Questi sono solo alcuni degli spettacoli che ha rappresentato nelle regioni più remote del paese, dalle periferie alle città siberiane. Tra i primi tratti del popolo russo che l’hanno colpita? I russi leggono sempre e ovunque. “Il pubblico teatrale è istruito, conosce le opere che metti in scena” e, quando viene proposto qualcosa di nuovo, “la gente accorre”.

Non a caso, ogni città in Russia ha almeno uno o due teatri, la maggior parte statali. Un meccanismo che le ha permesso, pur essendo neo-diplomata, di ricevere fondi pubblici per le sue messe in scena. “È agghiacciante che in Italia non ci sia lo stesso meccanismo: lo Stato non si preoccupa del teatro”. Una scelta che, secondo la regista, sta portando il Belpaese a perdere gran parte delle sue professionalità. “La Russia non è Europa, è un paese duro e complicato ma è un posto che ti può dare veramente tanto, soprattutto se ami la cultura”. Nella terra di Fyodor Dostoyevsky, per esempio, la regia teatrale “è considerata un lavoro a tutti gli effetti”, con tanto di tutele, finanziamenti e stipendio adeguato.

“In Italia i colleghi ti guardano spaventati per paura che tu possa rubare il piccolo spazio che con fatica si sono guadagnati”

Ma il fatto che il teatro sia un’istituzione statale può essere anche un’arma a doppio taglio. “Da quando hanno messo in galera le Pussy Riot, tutto in Russia è diventato possibile”. Una censura contro cui Alessandra non si ancora scontrata. “I miei spettacoli non sono mai stati messi sotto accusa, neppure quando ho rappresentato in scena dieci atti sessuali”.

Dalla finestra di casa, nei momenti di pausa, insieme a suo marito (musicista russo) ama osservare l’incessante scorrere della Neva. Eppure, quando si nomina l’Italia, nella 33enne si avverte un palpito. “Ci penso tutti i giorni: tornerei, se solo capitasse l’occasione”. Perché la regista ha provato a presentare i suoi lavori in patria, ma “il panorama artistico italiano non è accessibile”. “Nessun direttore di teatri stabili ti risponde e i registi ti guardano spaventati per paura che tu possa rubare il piccolo spazio che con fatica si sono guadagnati”. Cos’è rimasto dell’arte teatrale in Italia? “All’estero lo sanno tutti, in Italia si fatica ad ammetterlo, ma i pochi che lavorano di teatro nel Belpaese sono un circuito ristretto a cui tutti ambiscono, ma nessuno sa come entrarci e soprattutto come potercisi mantenere”. Si imbarazza, Alessandra, quando deve raccontare ai suoi colleghi stranieri del “tragico” panorama teatrale italiano. “Sai cosa mi rispondono? ‘Come è possibile? Cosa avete fatto alla madre di Dante e Boccaccio?”.

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