Dimenticati i 341mila italiani che nel 2015 hanno dovuto restituire il bonus da 80 euro perché il loro reddito è diminuito e, ovviamente, anche tutti quelli che hanno dovuto rinunciare al beneficio perché non sono più rientrati nella fascia di reddito prevista, superando i 26mila euro. Ignorati nella legge di bilancio. Nonostante le promesse che a inizio estate, dopo che la questione era stata portata alla luce da ilfattoquotidiano.it, si era lasciato sfuggire il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Cercheremo di alleviare”.

Qualche mese fa sembrava esserci qualche speranza, almeno che si arrivasse a rateizzare la restituzione del bonus, ma siamo quasi alla fine dell’anno e, nella versione definitiva della legge di Bilancio per il 2017, oltre alla scomparsa di fondi aggiuntivi per la lotta alla povertà, non c’è traccia neppure di un intervento che risolva il problema del bonus. “Non mi meraviglia affatto, dato che non è stato fatto nulla per chi vive in povertà” commenta a ilfattoquotidiano.it Chiara Saraceno, sociologa al Collegio Carlo Alberto di Torino. Le promesse? “Partendo dal presupposto che le decisioni vengono prese dal governo e non dal singolo ministro, credo che non ci sia stata neppure una forte trattativa sindacale su questo tema, pur trattandosi di un problema che riguarda i lavoratori dipendenti maggiormente in difficoltà”.

NEL 2005 UN ITALIANO SU OTTO HA RESTITUITO IL BONUS. Il bonus da 80 euro mensili, introdotto nell’aprile del 2014, è stato concepito come credito di imposta sull’Irpef erogato ai lavoratori dipendenti che rientrano nella fascia di reddito, prevista dalla legge, tra gli 8mila e 26mila euro all’anno. Il caso delle restituzioni è venuto a galla quando, a maggio scorso, il ministero delle Finanze ha pubblicato i dati sulle dichiarazioni dei redditi del 2015, con le rispettive tabelle sui bonus fruibili e su quelli da restituire. Sul sito del dipartimento delle Finanze, nero su bianco, i numeri: degli 11,2 milioni di italiani che hanno ricevuto il bonus, 1,4 milioni l’hanno dovuto restituire.

Nel dettaglio: 651mila lavoratori hanno dovuto rinunciare a parte del bonus (perché sono passati dalla fascia sotto i 24mila euro di reddito a quella sotto i 26mila), mentre altri 798mila hanno dovuto restituire la somma per intero. Tra questi anche i 341mila che si sono visti togliere il beneficio perché sono scesi sotto gli 8mila euro di reddito annuo: per loro, infatti, era già prevista una riduzione totale dell’Irpef. Morale: sono diventati ‘incapienti’ eppure hanno dovuto rimborsare la somma in un’unica soluzione all’Agenzia delle Entrate. ‘Pasticcio eclatante’, ‘beffa’, ‘paradosso’: così è stata bollata l’intera vicenda da molti esponenti politici di diversa provenienza. Fra questi Simone Baldelli, deputato di Forza Italia e vicepresidente della Camera, che aveva già segnalato la questione con due interrogazioni parlamentari.

LE PAROLE DI PADOAN E LE PROMESSE NEL VUOTO. Al di là dei numeri ci sono le storie, alcune delle quali raccontate da ilfattoquotidiano.it. Tra gli almeno 341mila italiani c’è chi si è visto sottrarre il bonus perché ha perso il lavoro o perché non è stato pagato dalla propria azienda o perché, comunque, ha guadagnato troppo poco. Nei mesi scorsi il governo prima ha difeso la misura, per poi ammettere che qualcosa si poteva modificare. Così il ministro Pier Carlo Padoan ha dichiarato di non escludere modifiche per venire incontro ai redditi più bassi. E parlando di una possibile rateizzazione della restituzione del bonus, in una puntata di Porta a porta, il 7 giugno scorso ha detto: “Adesso vedremo le modalità, è chiaro che cercheremo di alleviare”, precisando però che non si era trattato “di un errore della pubblica amministrazione, ma di un fatto inevitabile dovuto all’anticipo e alla necessità di conoscere bene il reddito alla fine”.

Non è stato l’unico segnale. Il senatore Pd Stefano Esposito si è detto anche favorevole, nel caso ci fossero state le risorse, a discutere della possibilità di non chiedere indietro gli 80 euro per gli incapienti. Nulla di fatto. Pochi giorni fa la conferma nel testo definitivo della legge di Bilancio che, a riguardo, non dice neppure una parola. “Se l’errore non è stato della pubblica amministrazione, mi chiedo allora a chi sia attribuibile”, si domanda Chiara Saraceno. Che sottolinea: “L’errore è stato invece alla base, dato che non è una novità che quando si utilizza il sistema della detrazione fiscale, si incorre sempre nel problema degli incapienti. È paradossale che prima si sia intervenuto per favorire i lavoratori a basso reddito, per poi escludere quelli più poveri”. Una soluzione? “Si sarebbe dovuta introdurre una imposta negativa, utilizzata in primis negli Stati Uniti e in Inghilterra, con la quale si dà lo stesso beneficio attraverso un credito d’imposta altrimenti bloccato da un reddito imponibile più basso di una certa soglia. È un principio di equità orizzontale”.

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