“Se si fosse realizzato un puntellamento, le chiese non sarebbero state danneggiate così gravemente. Credo che la responsabilità sia anche del governo: il decreto legge post sisma prevede che i Beni culturali possano essere messi in sicurezza solo se minacciano l’incolumità pubblica: una follia”. Non usa mezzi termini Renato Boccardo, il vescovo che regge la Curia di Spoleto-Norcia. Gli edifici dei quali parla sono la chiesetta di San Salvatore a Campi di Norcia e l’Abbazia di Sant’Eutizio. Straordinarie architetture ridotte in macerie. Frammenti di paesaggio che gran parte dell’Italia ha imparato a conoscere ora. Dopo il disastro.

Marica Mercalli della Soprintendenza unica dell’Umbria ripeteva solo ieri che le due strutture “rinasceranno come la Basilica di Assisi: da oggi cominceremo a repertare i singoli pezzi e a preservare quello che è rimasto per evitare che il più piccolo frammento vada perduto”. Ma il punto non è questo. Il problema non è il lavoro della soprintendente e neppure quello dei colleghi in loco. La questione è un’altra. Una questione che la nuova scossa ha soltanto evidenziato in maniera chiara, ma che esisteva. Come sottolineato dal vescovo Boccardo. E’ anche per questo che si allunga l’elenco dei monumenti disastrati. E’ anche per questo che le lesioni piccole e grandi che aveva causato il terremoto del 26 ottobre e prima ancora quelle del 24 agosto si sono allargate provocando la gran parte dei crolli di oggi. Quello della basilica di San Benedetto e della cattedrale di Santa Maria Argentea, a Norcia. Quello della Torre civica e della chiesa di Sant’Agostino, ad Amatrice. Quello della chiesa di San Cassiano e dell’abbazia di Piobbico, a Sarnano. Quello del campanile della chiesa di Madonna del Ponte di Porta Cartara, ad Ascoli Piceno. Quello della chiesa dei Pilotti a Penna San Giovanni. Quello del campanile di Santa Maria in Via e della Porta Malatesta a Camerino.

Senza contare i danni anche all’Abbazia di Fiastra, alla Torre di Santa Maria Intervineas ad Ascoli Piceno, alla chiesa Collegiata in piazza Gentili, a San Ginesio e con ogni probabilità alla rocca medievale di Arquata del Tronto. La stima è parziale. La verità è che per giungere ad avere almeno un’idea dei danni serviranno mesi. Perché in quei territori si concentra un numero impressionante di architetture, di ogni età. La maggior parte delle quali prive di manutenzione, pressoché da sempre, fatta eccezione per pochi casi.

Anche in questa occasione si provvederà a raccogliere in un’ “Unita operativa depositi temporanei” le opere che si saranno portate via da chiese e luoghi della cultura vari. Anche in quest’occasione il ministro Dario Franceschini si affannerà a dichiarare che “tutte le opere danneggiate e recuperate saranno ricollocate esattamente dove si trovavano. Certe pratiche del passato non si ripeteranno più”. Non solo. E’ più che probabile che ci sarà “un impegno che assumeranno Stato, Comuni e Regioni affinché quei luoghi importanti per storia, bellezza e unicità tornino a vivere così come sono stati fino purtroppo a qualche ora fa”. Non è tutto. Già perché il ministro s’è impegnato già una volta “a ricostruire i borghi così com’erano anche nella parte di edifici non vincolati. Perché è il tutto nell’insieme che costituisce la peculiarità straordinaria di questi luoghi”. Idee condivisibili, scelte sensate. Peccato che sia davvero troppo poco. Peccato che si continui a lavorare sulle emergenze, peraltro in maniera del tutto inadeguata alle circostanze.

Gli interventi? (Quasi) tutti a posteriori. A crolli avvenuti. Possibile che il Ministero non sia stato in grado di prevedere la messa in sicurezza almeno di quei monumenti già stressati dalle precedenti scosse? Sembra fosse questione di tempo. A quanto pare insufficiente. Almeno per la basilica di Norcia. “Abbiamo deciso di lasciare le pale all’interno e di fare un intervento di messa in sicurezza dall’esterno sul tetto. Ci eravamo messi d’accordo per vederci lunedì mattina. Purtroppo la scossa di stamattina ha fatto crollare tutto ma sarebbe stato impossibile fare più in fretta”. Per Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del Ministero dei Beni Culturali non ci sono dubbi. Peccato che invece ad averne sono in molti. Già perché rimane la sensazione che qui, tra Marche e Umbria, a mancare non siano soltanto le maggiori risorse invocate, anche se in maniera debole, dal ministro.

A fare difetto è la governance, le politiche territoriali in tema di patrimonio culturale. Ad essere assente è la capacità di contrastare non gli eventi sismici, naturalmente. Ma i danni che esso può provocare. Normalmente, si chiama prevenzione. Franceschini non sembra possedere questa attitudine. Almeno, non praticarla. Così chiese e torri civiche, palazzi storici e rocche vengono prima colpite e poi cancellate. Forse si ricostruiranno. Probabilmente le opere d’arte al loro interno si restaureranno. Sui risultati non è lecito dubitare ma almeno sui tempi sì, come dimostra il caso de L’Aquila. Ma al di là di tutto rimane il ministro. Con le sue colpe e le sue omissioni. Delle une e delle altre il Parlamento di un Paese nel quale la tutela del Patrimonio culturale è un dovere imprescindibile gli chiederebbe almeno giustificazione. Accadrà?

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