Immaginate ti percorrere una tortuosa strada di montagna a bordo di un’auto pilotata dalla vostra mente, magari collegata direttamente al sistema nervoso tramite una sorta di esoscheletro cyborg: potrebbe essere l’inizio di un film di fantascienza, eppure una macchina gestita attraverso le onde cerebrali non è così inverosimile, né lontana.

Si tratta di uno dei campi di indagine tra i più “gettonati” dalla ricerca scientifica, anche a sfondo automobilistico. Allo scorso Salone di Parigi, per non andare troppo lontano, lo stand Opel ospitava un’area dove i visitatori, seduti di fronte ad un’Astra, venivano invitati a mettere in moto l’auto con la sola forza del pensiero attraverso una fascia di collegamento sulla testa: esperimento riuscito, grazie a sensori nella fascia capaci di captare le onde beta del cervello di chi la indossava, al pari di un elettroencefalogramma (EEG).

Proprio le onde beta – attività elettrica emessa dal cervello – consentivano alla fascia di innescare una connessione Bluetooth per avviar effettivamente l’accensione della Astra, dimostrazione che ha vinto il Gran Premio Innovazione della kermesse francese.

La strada per far capire alla macchina… cosa si sta pensando, è naturalmente lontana. Tuttavia, l’esperimento Opel impiega una tecnologia derivata da ricerca e sviluppo nel settore medico, dove ad esempio questo genere di feedback è già in grado di attivare diversi dispositivi di controllo per utenti con mobilità limitata.

Restando nel campo delle quattro ruote, sono diverse le applicazioni interessanti al di là del solo controllo del mezzo. A partire proprio dalla sicurezza, campo dove sonnolenza e stanchezza giocano tutt’ora un ruolo di primo piano nelle statistiche degli incidenti. Esistono già diversi monitoraggi dello stato di attenzione del conducente, ma una macchina collegata alla mente potrebbe andare ben oltre nell’anticipare il pericolo, individuando il tipo di attività neurale collegata agli stati di sonnolenza o disattenzione del conducente.

Un prototipo di questa idea è in studio presso l’Università di Pune, in India, dove i ricercatori stanno lavorando su un’interfaccia cervello-computer basata sui segnali dell’elettroencefalogramma. Il sistema è in grado di rilevare cambiamenti fisiologici dei piloti misurando attività degli occhi, frequenza cardiaca e battito, ma anche potenziale elettrico della pelle e attività di EEG che segnalano l’inizio del sonno.

Ci credono in molti, nel mondo automobilistico, a interazioni di questo tipo. Lo stesso colosso Toyota, col suo Progetto Cuore, ha a sua volta in corso collaborazioni con diversi istituti di ricerca volte a perseguire una uno sviluppo di interazione futura che riesca a combinare intelligenze umane ed artificiali: l’iniziativa ha già influenzato il design del prototipo FV2 (dal 2013), sul quale sensori di riconoscimento facciale e vocale mettono in comunicazione veicolo e conducente. E anche Tesla sta lavorando a questa tecnologia.

Dicono invece alla Opel: “La vettura potrebbe finire con il sapere se si è stressati o rilassati, potrebbe inoltre parlare col conducente, deviare la navigazione su un percorso divertente per la guida piuttosto che direttamente alla meta in base all’umore del guidatore, magari proporre musica intonata allo stato d’animo”. “Senza pretendere un controllo del veicolo sui pensieri personali”, precisa Grégoire Vitry, brand and product communications manager di Opel, “ma si sta certamente lavorando per rendere i veicoli in grado di comprendere i loro driver”.

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