“È più facile costruire ponti che innalzare muri!” Sono le parole di Papa Francesco durante la veglia di preghiera con i giovani al Campus misericordiae durante la XXXI Giornata mondiale della gioventù di Cracovia di fine luglio 2016. Dopo breve riflessione, all’inizio dell’autunno il presidente del Consiglio Matteo Renzi e i più autorevoli membri del suo governo, all’unisono, hanno voluto tradurre subito in concreto l’esortazione del pontefice, riciclando dalla pattumiera della storia la favola del Ponte sullo Stretto. E così, con periodica ferocia, questa favola viene riproposta ai siciliani, per primi, e ai cittadini italiani, in questo periodo più annoiati che offesi da un riforma costituzionale incomprensibile, prima di tutto a chi ancora pratica la lingua italiana.

Un bellissimo libro di Anita Seppilli, Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti, pubblicato quasi mezzo secolo fa da un editore palermitano, Sellerio, ci ricorda: “Sin dall’antichità il termine pontifex fu per lo più collegato etimologicamente alla funzione dell’edificare (facere) un ponte (pontem); la rifioritura di questa voce nei primi secoli dell’era cristiana, entro l’ambito di un organismo religioso del tutto diverso – eppure anche qui riferito a un’alta dignità gerarchica sacerdotale, anzi, alla somma dignità sacerdotale – già presenta un problema piuttosto stimolante per noi”. E tutti conoscono il significato del verbo pontificare. Anche se Francesco tutt’altro ha inteso con quella frase.

Da sempre il ponte è una delle armi più acute per penetrare l’intimo della gente, apprezzata dalla politica più di ogni altra grande opera: “I grandi ponti sono le cattedrali del mondo moderno”, disse con entusiasmo un ministro britannico dei trasporti negli anni 60, Barbara Castle. Un refrain spesso intonato dai governanti, senza dover scomodare William M. ‘Boss’ Tweed, il famigerato capo della macchina politica più corrotta della storia newyorkese, la Tammany Hall, che, fin dall’inizio, fu tra gli entusiasti artefici del Ponte di Brooklyn. È sempre così?

Molto spesso il ponte è percepito invece come un sacrilegio: numerosi miti e leggende, tradizioni popolari e lavori letterari lo testimoniano. In Lombardia il diavolo avrebbe costruito il ponte sulla Trebbia in cambio della promessa da parte di San Colombano di concedergli di essere il primo a poter transitare sul ponte. È l’opera del demonio, quindi, giacché non è raro imbattersi in un ‘Ponte del Diavolo’ tanto negli appennini, quanto sulle Alpi, non solo italiane. A Parigi il Ponte di Saint Cloud sarebbe stato costruito da Satana in persona. E il diavolo non fece vittime nel costruire l’ardito ponte a un solo arco sulla Stura di Lanzo, tra il monte Buriasco e il Mombasso, ma si accontentò di lasciare due impronte ai due capi estremi, avendo voluto varcare con un solo passo l’opera appena edificata: orme caprine.

Alcuni riconosceranno invece nell’impronta genetica del Ponte sullo Stretto la continuità dinastica di altri recenti capolavori italiani, dal G8 della Maddalena ai Mondiali di Nuoto romani, da Expo 2105 alla Tav da Torino a Lione, che non ho mai sentito nominare in senso inverso, da Lione a Torino, quasi fosse un percorso di sola andata, forse per agevolare i nostri giovani a emigrare. E nella riesumazione del Ponte sullo Stretto non è forse estraneo il coito interrotto delle Olimpiadi romane. Oppure chi oggi ripropone la favola del ponte si è semplicemente ispirato alla intramontabile melodia di Simon & Garfunkel: “Io libererò la tua mente come un ponte sopra le acque agitate“. Da qualche preoccupazione sull’esito del plebiscito referendario in merito a una riforma che il Financial Times definisce un ponte verso il nulla

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