Da qualche settimana s’inseguono sul web le indiscrezioni sulla vendita di Twitter a mega-corporation che però una dopo l’altra paiono svanire: Google, Microsoft, Disney e altri. Tutti i potenziali interessati hanno prima osservato le carte (meglio: le quotazioni a Wall Street tutt’altro che rosee del titolo Twtr) e hanno gentilmente declinato.

Se fosse tutto un gioco interno al mondo del turbo-capitalismo odierno sarebbe una notizia relegata nelle pagine economiche dei giornali o in qualche spazio online poco battuto. Ma certe caratteristiche di Twitter lo rendono diverso dagli altri social media e ben più vicino ai suoi stessi utenti.

Twitter: le notizie dal basso e l’attivismo

La prima differenza è che si tratta di uno strumento particolarmente adatto a produrre notizie dal basso e in tempo reale. Usato non solo da giornalisti di ogni tipo ma anche da attivisti sparsi, comunità locali, progetti-network, squadre di soccorso e quanti altri, dalla Primavera Araba alle emergenze-terremoto italiane alle crisi umanitarie in ogni anglo del globo.

La seconda è che il tipo di interazione fra gli utenti è assai meno controllabile, per esempio di quanto non accada su Facebook e simili piattaforme. Per molti versi, è fatto direttamente dagli utenti, senza filtri o algoritmi, e nulla sarebbe senza i loro tweet incessanti. Ben più di un prodotto vendere agli inserzionisti. Come ha sintetizzato il suo Ad Jack Dorsey: “Twitter è la rete d’informazione del popolo”.

Cosa significa tutto ciò? In un momento di forte cambiamento del sistema di produzione e fruizione delle informazioni, si tratta di una porta aperta per il futuro della Rete, di una piattaforma che per buona parte sta dalla parte degli utenti. Sopratutto se non verrà acquistato dai soliti big di internet.

Ecco perché, in risposta alle voci di vendita, i più interessati al futuro di Twitter (io per primo) si sono dimostrati proprio i suoi utenti. Un gruppo dei quali ha prontamente lanciato una campagna per il suo acquisto sotto forma di piattaforma-cooperativa, dettagliato per primo da Nathan Scheineder sul Guardian. Oltre ai molteplici rilanci e commenti online, c’è anche un gruppo di lavoro e si prevedono prossimi incontri con i vertici dell’azienda a San Francisco per mettere sul tavolo proposte concrete in tal senso.

Iniziative senza senso?

Forse. Anzi, no. L’importante comunque è provarci. L’hashtag da seguire (ovviamente su Twitter) è #WeAreTwitter, con annessa petizione da firmare, tradotta anche in italiano.

La proprietà dei mezzi di produzioni, la gestione cooperativa degli stessi, apre nuovi scenari che possono squadernare gli equilibri. E qui stiamo parlando di un sistema di produzione delle notizie partecipato e dal basso. È la democrazia, bellezza!

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