“In Italia? Non c’era futuro per me”. Valeria Lorgio ha 29 anni, è un architetto ed è nata in Sicilia, ad Agrigento. Dopo mesi trascorsi lavorando otto ore al giorno, “senza una retribuzione adeguata e senza un minimo riconoscimento”, ha deciso di lasciare la sua terra. Direzione Kuwait, dove da più di due anni tiene un corso di Interior Design in un istituto privato della capitale. “Tornare? Neanche per sogno”, dice.

Valeria ha deciso di partire nel 2015, spinta dalla voglia di crearsi un futuro e di vivere all’estero. “Sono andata via perché ho studiato e lavorato sempre nella mia città, ma da noi i giovani sono condannati alla gavetta”, spiega. In Kuwait Valeria ci è arrivata dopo un colloquio via Skype: “Cercavano architetti italiani come insegnanti del corso di Interior Design – racconta – Ho inviato il curriculum, fatto il colloquio su Internet e mi hanno presa”.

“Ho inviato il cv, fatto il colloquio su Skype e mi hanno presa”

Ambientarsi in un paese così lontano non è stato facile. Ma Valeria ce l’ha fatta in poco tempo. “Al momento della partenza la mia famiglia era agitatissima – racconta –. Mia mamma non sapeva neanche dove fosse il Kuwait”. Suo padre, invece, è stato il primo a supportarla: “Non credo che in Italia tu possa trovare qualsiasi altro tipo di opportunità”, diceva.

Un primo ostacolo è stata la lingua. “Ho dovuto prepararmi completamente da sola – spiega – Ci tengo a sottolineare che in Italia le scuole non preparano assolutamente ad andare all’estero Spesso anche i miei amici qui in Kuwait si stupiscono della nostra scarsa preparazione. I miei colleghi libanesi, ad esempio, sono cresciuti imparando due lingue già dalle elementari. E l’esame di stato l’hanno sostenuto in inglese”.

“In Italia le scuole non preparano ad andare all’estero. I miei colleghi sono cresciuti imparando due lingue già alle elementari”

Le differenze sono tante. Ma non troppe. “Trovo molte affinità con la cultura siciliana, derivanti proprio dalla dominazione araba”, spiega Valeria. La vita in Kuwait, comunque, è diversa da quella in Sicilia. È vero, gli italiani sono benvoluti, ma per i ragazzi è più difficile ambientarsi, data la mancanza di discoteche, pub, o svaghi. “Però ci sono tanti coffee shop, ristoranti e cinema dove passare le serate”. Se parliamo di servizi, invece, il discorso cambia completamente. “Qui è tutto più semplice e veloce”.

Giornata tipo? “Qui si viene per lavorare, quindi la maggior parte del tempo la passo nell’istituto dove insegno”, aggiunge Valeria. Il giorno di riposo è il venerdì; nel tempo libero, invece, ci si dedica allo sport – quando non fa troppo caldo – alla lettura e alle uscite con gli amici. “La maggior parte delle persone che frequento non sono italiane: passo il mio tempo libero con kuwaitiani, libanesi, siriani, americani. Alcuni sono nati direttamente qui da immigrati di seconda generazione”.

“In Italia ti dicono che sei giovane, che devi fare esperienza, che non ci sono soldi. Ma stranamente si lavora otto ore al giorno”

Il mondo del lavoro è strutturato in maniera completamente diversa. La retribuzione? “Ottima, considerando che in Italia non pagano”, sorride Valeria. I contratti, comunque, non prevedono solo lo stipendio a fine mese, ma comprendono viaggio pagato, alloggio e in alcuni casi l’autista. E le soddisfazioni non mancano: “Qui, finalmente, ho la possibilità di poter lavorare in maniera regolare e dignitosa”, spiega la giovane siciliana. Il rapporto con l’Italia, proprio su questo punto, è incrinato: “In Italia non avrei mai potuto ricevere lo stesso trattamento. Ti dicono che sei giovane, che devi fare esperienza, che non ci sono soldi. Ma stranamente si lavora otto ore al giorno. Questo è il motivo per cui ho deciso di andarmene. I giovani vanno supportati e incentivati – continua –. E invece non fanno altro che demoralizzarci e distruggere le nostre ambizioni. Qui ci sono ragazzi che a 27 anni hanno 3-4 anni di esperienza lavorativa retribuita e valida alle spalle”.

Valeria torna in Sicilia due volte l’anno, spesso in estate, quando le lezioni si fermano per un paio di mesi. Quando rivede i suoi amici il discorso torna sul mondo del lavoro. “Molti mi ripetono che ho avuto coraggio a fare questa scelta. Il Kuwait non è Londra, dove con un aereo in due ore sei a casa”, dice. Ad Agrigento, invece, le cose non sono cambiate. “Alcuni dei miei colleghi architetti hanno ripreso a studiare, altri fanno lavori completamente diversi. In Italia trovare un impiego significa essere fortunati”. Tornare? “Solo a pensarci mi viene l’angoscia – conclude Valeria –. Qui si lavora e si hanno le proprie gratificazioni. Onestamente e regolarmente”.

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