Troppe volte si sente parlare di uomini e donne che “scivolano” nella povertà. I mezzi di informazione ci hanno quasi abituati all’idea di queste moltitudini anonime che vengono progressivamente – e inesorabilmente – divorate dall’indigenza, lungo le pareti di un immenso, insidioso imbuto. Il 17 ottobre scorso, la Caritas ha presentato un interessante Rapporto dal titolo “Vasi comunicanti, inerente temi come la povertà e l’esclusione sociale.

Nel Rapporto di parla di 4,5 milioni di poveri, presenti sul nostro territorio. Con un’incidenza molto alta nel Mezzogiorno, dove risiede il 34,4% della popolazione e si concentra il 45,3% dei poveri. Era anche prevedibile, considerando che secondo l’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) nel sud si sono persi 576mila posti di lavoro, dal 2008 a oggi. Ossia il 70% delle perdita riscontrate nell’intero paese. Non se la passano meglio le altre macroaree del paese, dato che nel centro e nel nord la “povertà assoluta” è almeno raddoppiata percentualmente. La povertà assoluta è definita come la “forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa”. Parliamo di dignità. E se passiamo dalle definizioni alla concretezza, scivolare nella povertà significa perdere il controllo sulle proprie progettualità, interrompere il dialogo di fiducia con la propria esistenza, il filo sottile delle aspettative, bloccare il piano di ammortamento del mutuo, pignoramenti, disastri umani e sentimentali. Significa ritrovarsi nell’ombra appena si incontri la prima pietra d’inciampo: una malattia, un incidente, o una spesa imprevista rilevante. Significa non avere ammortizzatori per fronteggiare eventualità negative e, soprattutto, non poter prospettare opportunità e serenità per i propri figli, esposti a privazioni di ordine materiale ed educativo. Discriminazioni e disagi.

L’accentuarsi del fenomeno delle migrazioni intreccia le povertà autoctone con quelle di coloro che nel nostro Paese arrivano, per restare o per transitare. Al sud, nelle famiglie con soli stranieri l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 28,1%, mentre per le famiglie di soli italiani si attesta all’8,3%.

È davvero il caso di uscire dall’estemporaneità degli spot preelettorali a cui la politica ci ha abituati e di pensare a soluzioni concrete e di ampio respiro. A titolo di esempio, in una recente intervista al prof. Emanuele Felice, docente di Economia applicata presso l’università di Chieti-Pescara, ho trovato una proposta molto interessante, che potrebbe far prefigurare evoluzioni importanti per il Mezzogiorno. Riporto il brano a cui faccio riferimento, rimandando a una lettura completa: “Se fossi nei panni del governo, mi attiverei anche per elaborare e presentare all’Europa un progetto organico per l’istituzione di Zone economiche speciali, come fatto ad esempio dalla Polonia, in cui garantire soprattutto incentivi fiscali; con l’argomento che il Sud è oggi l’area di sottosviluppo più grande di tutta l’Europa occidentale (fa due volte gli abitanti della Grecia). Non credo che l’Europa potrebbe dire di no ad un piano chiaro e ben strutturato”.

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