La campagna referendaria è entrata nel vivo, come abbiamo avuto modo di constatare in queste ultime settimane, dai faccia a faccia tra i sostenitori delle opposte fazioni (come D’Alema contro Giachetti, o Zagrebelsky in contrapposizione a Renzi) fino al dibattito on line, molto vivace sui social network. Uno scontro che non risparmia colpi bassi, dall’una o dall’altra parte.

Premetto sin d’ora che voterò No al referendum del 4 dicembre. E non certo per andare contro qualcuno – ovvero, contro il presidente del Consiglio, che ha fatto la scelta non oculata di personalizzare lo scontro, salvo poi fare una poderosa marcia indietro temendo la sconfitta dai sondaggi non proprio esaltanti – bensì perché credo che tra un sistema che tutto sommato ha retto alle alterazioni politiche (a cominciare da vent’anni di berlusconismo, che pure tanti danni ha fatto) e un altro che consegna il paese a una ristretta cerchia di potere, è preferibile di gran lunga una democrazia imperfetta a qualcosa che sembra andare in direzione di una democratura.

Siccome credo che tutti/e debbano farsi un’idea partendo dalla lettura della riforma e dal parere di persone che lavorano col diritto costituzionale, rimando alla lettura di due documenti sul sito Diritto e Giustizia. Qui invece vorrei parlare della qualità del dibattito, di quelle che sono le sue forzature e soprattutto vorrei portare le ragioni del No da parte di chi, come me, è gay.

Le argomentazioni del tipo “il governo ci ha dato le unioni civili, non possiamo che votare sì alla riforma” o ancora “se voti no, voti come i fascisti che sono omofobi o come i grillini che hanno fatto fallire il canguro” sembrano più tentativi di agire sui sensi di colpa dell’interlocutore. L’appoggio o meno ad una riforma dovrebbe infatti prescindere dalla simpatia politica di chi la promuove e dovrebbe basarsi sul provvedimento in sé, su cosa esso contiene, su quali miglioramenti o peggioramenti può portare a tutti/e noi. In queste discussioni non c’è nulla di tutto questo. Lasciando da parte il fatto, naturalmente, che le unioni civili erano un atto dovuto, arrivato tardi e male per altro, e non un favore del Pd con cui bisogna sdebitarsi. Sempre che si concepisca la politica non come asservimento al potere, ma come dovere del gruppo dirigente di mettersi al servizio della società.

Volendo mettersi sullo stesso livello di chi, dentro il Pd, esige fedeltà al premier per quanto “concesso”, agitando lo spauracchio di essere confusi con i fascisti o con i grillini, faccio notare quanto segue:

1. Si può dire No a una proposta per diversi motivi. Posso proporre a un uomo di sposarmi e questi si può rifiutare perché non è omosessuale. A un altro, posso chiedere la stessa cosa e può giustamente respingermi perché non è innamorato di me. Sono due No diversi, alla stessa proposta. Ciò però non significa che mi rifiutano per stare insieme tra loro. Il premier, il Pd e i loro sostenitori fanno invece questo tipo di semplificazione.

2. Lo stesso Matteo Renzi ha detto che, per vincere, il Sì ha bisogno dei voti della destra. Ovvero di quegli elettori e elettrici che poi, in cabina elettorale, scelgono persone come Brunetta, Salvini, Meloni e Casapound. Dovrebbe spiegarci, il nostro premier, come mai l’elettorato che produce certa classe politica va bene, mentre il prodotto di quelle stesse scelte no. In altri termini: perché se io voto no, sono uguale al leader della Lega, ma poi va bene, tra le schiere dell’elettorato del sì, chi poi certa gente la manda in Europa o in Parlamento? Se una cosa ci repelle, dovrebbe farlo sempre. Giusto?

Un ulteriore aspetto, che investe l’essere persone Lgbt, sta proprio nelle modifiche della riforma per cui, secondo i gay renziani, faciliterebbero legislazioni più favorevoli per i diritti della comunità arcobaleno. Se questo è vero, potrebbe però accadere l’esatto contrario: leggi contro gay, lesbiche, trans, ecc, potrebbero avere un decorso più veloce qualora la destra radicale dovesse arrivare al potere. La legge sull’omofobia – attualmente ferma in Senato, ma approvata alla Camera – sarebbe già in vigore e qualche professore di religione potrebbe affermare frasi quali “i gay sono malati e possono guarire”, proprio a scuola così come il provvedimento permetterebbe di fare.

È proprio vero che vogliamo passaggi facilitati per questo tipo di aberrazioni legislative? La riforma Boschi parrebbe aprire la strada a tutto questo. E torno a chiedermi: siamo sicuri, da cittadini/e anche Lgbt, di volere questo tipo di futuro di fronte a noi? La risposta, per quello che mi riguarda è No. Alla riforma, innanzitutto.

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