Come era abbastanza facile prevedere con l’avvicinarsi della fatidica data referendaria e con l’intensificarsi di una campagna mediatica sempre più sbilanciata sul Sì, benché spacciata come “informazione” al servizio dei cittadini, si sta vistosamente riducendo l’area degli indecisi. E stando ai sondaggi, come rilevato anche Enrico Mentana, i 3/4 di quel 5,7 % sarebbe orientato ad esprimersi a favore della riforma targata Boschi.

Naturalmente il dato dell’incertezza rimane sovrano, tenendo conto di un’astensione sempre elevatissima, del vantaggio ancora di 3,2  punti percentuali attribuiti al fronte del No e del margine di errore delle previsioni valutato sempre al 3 per cento. Se, in un’ipotesi astratta, l’astensione rimanesse invariata e l’andamento dell’area degli indecisi progredisse costantemente in favore del Sì, quello che è oggi il vantaggio attribuito al No verrebbe eroso massicciamente fino ad un pareggio o al rischio di una sconfitta, anche se di misura o per pochi decimali.

Per questo, quanto più abbiamo a cuore le ragioni del No tanto più dobbiamo cercare le parole e gli argomenti per convincere gli indecisi, dato che quelli già motivati riguardo il merito della riforma ed il metodo con cui è stata approvata e viene “promossa” dal governo hanno molto chiaro, al di là della formulazione promozionale del quesito, come votare.

Se tra gli indecisi, ci sono molti “moderati” che in buona fede tengono presente “il contesto” a cui si appiglia anche Massimo Cacciari per votare Sì ad una “riforma che tecnicamente fa schifo”, come ama ripetere, mi permetterei di invitarli a riflettere su quanto ha dichiarato Mario Monti al CorriereL’ex presidente del Consiglio che non è un campione di popolarità né di successi politici, come testimonia la deriva verdiniana della sua ex-creatura, ma che non può essere tacciato di opacità e disonestà intellettuale, nel dichiarare in tempo utile che voterà No, a differenza di troppi pavidi che devono “riflettere” ha fatto chiarezza su due pilastri della propaganda renziana. Ha indicato con termini inequivocabili le tecniche di persuasione governativa incentrate sulla “lubrificazione” dell’opinione pubblica tramite bonus fiscali ed elargizioni mirate, la quintessenza delle più deteriori pratiche consociative, ora benevolmente concesse dal “principe” riformatore in vista degli appuntamenti elettorali cruciali. E per essere ancora più chiaro ha spiegato che “Votare Sì non significa ridurre i costi della politica” che non dipendono dalla parziale riduzione del numero dei senatori ma in primo luogo dalle pratiche di governo e dunque votare Si vuol dire avallare questa “provvidenza di Stato” per avere dei cittadini non “indipendenti e maturi”: in altre parole dei sudditi.

Quanto alle conseguenze terrificanti della vittoria del No paventate dalla propaganda renziana, l’ex commissario europeo Mario Monti ha banalmente ricordato che l’esito del referendum non deve incidere sulla permanenza di Renzi a palazzo Chigi e che comunque nella (felice) ma improbabile ipotesi che levasse le tende non succederebbe nulla di eclatante. In Italia, ci ha rassicurato anche un ex presidente del Consiglio, sopravviverebbe la democrazia, secondo molti meglio.

In Europa se ne farebbero prontamente una ragione e forse, se a capo del governo venisse qualcuno più attento al debito pubblico, alla lotta all’evasione e al “sommerso” e a velocizzare la giustizia più che a tagliare le ferie ai magistrati, aumenterebbero anche gli investimenti stranieri.

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