Federica e Isabel, le due ex suore conosciutesi in Africa e “sposatesi” a Pinerolo qualche giorno fa, hanno dichiarato, in un’intervista a La Repubblica, che la celeberrima frase del papa “chi sono io per giudicare” avrebbe aperto loro il cuore, inducendole a rivelare finalmente al mondo la loro relazione, di essersi innamorate. Con tutto quello che ne è seguito: l’espulsione dal convento, l’incontro con Don Franco Barbero, il prete ridotto alcuni anni fa, dalla Chiesa Cattolica, allo stato laicale, ovvero “spretato”, proprio per l’accoglienza riservata ai gay e alle lesbiche, l’inizio di una nuova vita, infine il matrimonio, pardon l’unione civile celebrata a fine settembre.

“Nella Chiesa – hanno detto le due ragazze – ci sono migliaia di persone, suore e preti, che si trovano nella nostra stessa situazione”. “Avremmo potuto seguire – hanno aggiunto – un consiglio che si sente spesso dire nei conventi: vivete assieme da suore, basta non dire nulla e non dare scandalo. Una via comoda e falsa. Ce ne sono tanti di casi come questi: preti o religiose che vivono clandestinamente i loro rapporti con uomini o donne. Ma nel vangelo Gesù condanna l’ipocrisia, non gli omosessuali. E così abbiamo deciso di lasciare la vita religiosa e cominciare un cammino di libertà e di fede con serenità, senza scandalo, sotto lo sguardo misericordioso di Dio”.

Pare che il Papa si sia risentito per le parole della coppia di ex suore. La ragione dell’amarezza del pontefice starebbe nel fatto che Federica e Isabel avrebbero, a suo giudizio, accusato di ipocrisia quei religiosi che, pur avendo una vita omosessuale attiva, decidono di non lasciare l’abito e di vivere i loro rapporti nella clandestinità. Io credo che il Papa abbia inteso davvero male le parole delle “sposine” di Pinerolo: loro, secondo me, non intendevano assolutamente puntare il dito contro le loro ex consorelle o contro i preti gay. Federica e Isabel accusavano piuttosto di ipocrisia la Chiesa Cattolica e i tanti suoi dirigenti che incentivano i preti e le suore gay a vivere nella menzogna e nell’ombra, a predicare bene e a razzolare in modo esattamente opposto. Perché è in primo luogo l’istituzione a negare, a partire dai suoi vertici, che esistano al suo interno tanti omosessuali più o meno attivi.

Ce lo hanno confermato di recente Federica e Isabel, ma anche Krystof Charamsa e gli altri preti omosessuali meno noti che sono coraggiosamente usciti dalla Chiesa, scegliendo l’autenticità e la pulizia in luogo della falsità di una vita affettiva oscura e proibita. Naturalmente, coloro, quei tanti, che quel coraggio non lo trovano e continuano a vivere nel buio la loro sessualità non sono certo da condannare. In loro prevale la paura dell’ignoto, della condanna sociale, della solitudine, della povertà e dell’abbandono. Sentimenti comprensibili. Sul banco degli imputati rimane allora solo un’istituzione come quella cattolica, che si rifiuta di accettare di pronunciare parole di verità e di invitare i suoi devoti funzionari ad uscire allo scoperto, a rivelarsi uomini e donne come tutti gli altri.

Se lo facesse, si incrinerebbe per sempre quell’aura di sacralità che circonda ancora oggi le figure clericali, ma trionferebbe quella parresia che tanto sembra stare a cuore a papa Francesco.

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