ilfattoquotidiano.it ospita l’intervento del costituzionalista Antonio D’Andrea, professore all’Università degli Studi di Brescia sugli effetti della riforma della Costituzione combinata alla nuova legge elettorale

Guardando alla sostanza costituzionale della riforma: annettere al Governo del leader una maggioranza parlamentare “esecutiva” (ammesso che funzioni il retropensiero nascosto dei riformatori)

Gli ordinamenti democratici, come noto, contemplano diverse soluzioni organizzative a proposito del modo con il quale si esprime legittimamente il potere politico dello Stato – si parla in effetti di differenti forme di governo –, partendo tuttavia dalla inevitabile presenza, accanto a un Governo, di un Parlamento, rappresentativo in primo luogo della comunità politica nazionale, cui si assegnano preminenti funzioni, tra le quali quella legislativa – la normazione primaria –, rispetto alla quale non sono contemplate soverchie eccezioni (a questo riguardo l’ordinamento italiano si segnala per l’attribuzione all’Esecutivo della possibilità di adottare decreti legislativi e decreti-legge). In particolare, se la genesi del Governo è di natura parlamentare, per comprendere davvero il funzionamento del sistema organizzativo statale acquista un notevole peso la conoscenza e lo studio delle dinamiche che coinvolgono le forze politiche e che, a loro volta, sono condizionate dai sistemi elettorali vigenti, specie se lungamente sperimentati o, viceversa, totalmente innovativi (come accaduto in Italia dalla proporzionale al sistema prevalentemente maggioritario a turno unico e collegio uninominale che ha aperto la stagione della c.d. Seconda Repubblica).

Senza stabilire questa connessione tra assetto costituzionale che fissa i principi di fondo della forma di governo e dinamiche politiche – stimolate quando non indotte del tutto dalle regole elettorali – e senza valutare il modo di operare del sistema di governo in “concreto”, limitandosi ad una osservazione – contemplazione – della normativa costituzionale, prescindendo dal resto e anzi minimizzando gli effetti della regolamentazione elettorale sia sulla struttura dell’organo parlamentare sia sulla relazione fiduciaria tra la maggioranza e l’Esecutivo, si rinuncia colpevolmente a verificare l’impatto effettivo della forma di governo sull’ordinamento nel suo complesso e si rischia di non comprendere quanto questo (l’ordinamento) in realtà dipenda da quella (la forma di governo). Si pensi ad esempio quanto siano influenzate dal grado di coesione interna alla maggioranza stessa, come pure dal grado di affidabilità reciproca ritenuta sussistente fra maggioranza e opposizione, l’approvazione o meno di una legge o le decisioni parlamentari e di governo capaci di intervenire, in un modo o nell’altro, con rilevanti segmenti che compongono il mosaico ordinamentale (gli altri organo costituzionali, le autorità di garanzia, i governi territoriali, l’Unione europea).

Avere approvato una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati – l’Italicum – significa perciò aver necessariamente introdotto nell’ordinamento un fattore decisivo per l’andamento della forma di governo, che non solo interferisce con la riforma costituzionale volta ad eliminare il regime della “doppia fiducia” con l’estromissione del Senato da qual circuito, ma che determina una nuova condizione ambientale per il sistema politico ben lungi dall’essere solido e sedimentato nonostante le logiche maggioritarie in vario modo sperimentate da oltre vent’anni. Tale innovazione legislativa, così come accadrebbe con altre soluzioni in materia, avrà ripercussioni certe sull’assetto costituzionale, formalmente rimasto di tipo parlamentare, ma che, secondo tendenze purtroppo già note, viene sviato attraverso la leva elettorale in una direzione che si potrebbe dire extraparlamentare, e cioè l’investitura popolare congiunta di un leader e della “sua” maggioranza, chiamati a governare in senso lato e più precisamente a decidere tutto, imponendo dunque la politica nazionale. La pervicace ossessione di ottenere una “speciale” investitura popolare del capo del Governo senza voler cambiare, come si potrebbe fare, in modo chiaro il sistema parlamentare di partenza (magari armonizzandolo con il resto dell’ordinamento che, almeno in democrazia, non si esaurisce nella scelta di chi guida politicamente l’amministrazione dello Stato), nasconde in realtà il vero intento, accuratamente occultato, di molti e certo di chi ha voluto queste riforme (elettorale e costituzionale) non a caso concepite insieme: si pensa che, in un contesto politicamente frazionato almeno – si dice – in tre grandi “blocchi”, si possa stabilizzare il Governo, ovviamente attraverso chi lo guida, solo se gli si riesce a garantire una maggioranza silente e servente. Per arrivare a questo occorre, da un lato, non separare i due momenti elettorali – voto per il Governo e voto parlamentare (l’elezione presidenziale del Capo di Stato e di Governo questo comporta anche nella versione semipresidenziale alla francese) – e, dall’altro, bisogna ottenere un collegamento strettissimo, emotivo se non giuridico, tra il leader e gli elettori, in modo che sia chiaro, e in primis alla contestuale maggioranza parlamentare di supporto, che non si può rompere il “patto” siglato dal capo della forza politica con la “maggioranza degli italiani” che ha scelto il suo Governo se non a prezzo di interrompere la legislatura quasi per automatismo. E in effetti con l’Italicum un capo di una forza politica che si candida a governare il Paese alla fine ritrova necessariamente! La governabilità cui tanto si tiene viene così risolta burocraticamente per legge!

Lo scarto tra norma costituzionale in materia di forma di governo (nel suo significato originario che, viene ribadito con foga, non cambia) e le disposizioni della nuova legge elettorale mi pare a questo punto evidente, cosicché se fosse accertato dal giudice costituzionale produrrebbe un vuoto legislativo che certo sarebbe colmato, per quanto possibile, nell’immediato dalla stessa Corte, ma che aprirebbe uno scenario complicato a prescindere dalla sorte del referendum. Tuttavia, poiché a me pare che lo scarto tra le due normative permanga lo stesso ancorché non fosse certificato dall’intervento del giudice costituzionale, è bene avvertire i propugnatori del sistema “Italicum-eliminazione della doppia fiducia” che, alla fine, non si risolverebbe del tutto il problema della governabilità che così tanto li angoscia. In verità, ciò potrà accadere solo fino a quando nel corso della legislatura una nuova – legittima – maggioranza non emergerà dal seno della Camera a testimoniare con i fatti (e con il sostegno delle norme) che un altro Governo è possibile far nascere nell’ordinamento, un Governo magari più adatto a conformarsi alle necessità politiche di quello precedente che, verrebbe ricordato in quel caso da qualche costituzionalista “passatista”, non aveva né potava avere alcuna legittimazione popolare diretta nell’invariato quadro costituzionale di tipo parlamentare. Concludo dicendo che se non si vuol fuoriuscire dal sistema di governo parlamentare (che infatti si lascia preferire per la sua duttilità, della quale ci si è avvantaggiati nel nostro ordinamento nelle crisi più acute del sistema politico), è impossibile ottenere la garanzia di una legge elettorale che assicuri subito dopo il voto l’esistenza di una maggioranza parlamentare certa in favore di un leader posto alla guida di un Governo che duri per l’intera legislatura. A livello di legislazione elettorale, non si dimentichi tra l’altro come il diritto di voto, in entrata e in uscita, non possa essere compresso oltremodo (il tema è quello della rappresentatività) e che la scelta dei parlamentari anche in presenza di una sola Camera politica presuppone un collegamento non fittizio tra l’eletto e il livello territoriale da rappresentare. La manipolazione di questi aspetti, permanendo la supremazia del dettato costituzionale sulla legislazione elettorale (si tratta di rispettare principi già contemplati nella prima parte della Costituzione, a cominciare dall’uguaglianza), prima o poi sarebbe “smascherata” e resa inefficace a prescindere dall’obiettivo di caducare nei fatti meccanismi costituzionali per via legislativa; il che è certo illegittimo oltre che dannoso, ma alla lunga anche inutile.

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