Era il 14 ottobre 1926 e lo scrittore inglese A. A. Milne pubblicava il fortunatissimo romanzo per bambini Winnie-the-Pooh. È la prima apparizione di un personaggio che in novant’anni di vita ha fatto la fortuna soprattutto della Disney, che dopo la morte dello scrittore nel 1956, ha acquistato i diritti. L’orsetto giallo di pezza, dunque, taglia l’importante traguardo dei novant’anni potendo ancora contare su una incredibile fama mondiale, un ritorno economico imponente in merchandising, cartoni animati e oggettistica varia. Tutto merito di quel romanzo del 1926, che in realtà è una raccolta di alcuni racconti di Milne pubblicati sul London Evening News o diffusi via radio. Un successo clamoroso, probabilmente dovuto all’indole dolcissima dell’orsetto di pezza, ai suoi modi sin troppo docili che lo rendono perfetto per un certo target di bimbi in età prescolare.

Superati i 6 anni, però, dovrebbe diventare vietato dalla legge apprezzare il melenso orsacchiotto. Perché arrivati a un’età in cui si è anche solo lontanamente capaci di intendere e volere, risulta impossibile sopportare i modi affettatissimi e inglesissimi di quel personaggio così remissivo nell’interazione con i suoi amichetti del Bosco dei Cento Acri. Quella vocetta flebile e stridula, l’ossessione compulsiva per il miele, una predisposizione passiva che snerva, che fa venir voglia di chiedere al buon Dio la possibilità di entrare in contatto con un personaggio di fantasia per scuoterlo un po’, farlo reagire, spiegargli che persino un orsetto di pezza può e deve avere una personalità.

Ha anche seri disturbi alimentari, il povero Winnie, visto che non fa altro che abbuffarsi di miele e ogni sua azione è finalizzata a raccattarne altro. Zero personalità, carattere debole, disturbi alimentari. Siamo ancora sicuri che Winnie the Pooh sia un modello per i nostri poveri bimbi? Bisognerebbe chiedere alla Disney, piuttosto, di costruire in ogni parco a tema sparso per il mondo una sorta di Clinica per disturbi alimentari e della personalità “Winnie the Pooh”, in modo da educare i piccoli visitatori alle buone abitudini alimentari e soprattutto ad affrontare la vita con un piglio decisamente più vigoroso.

Scherzi a parte, davvero qualcuno che abbia superato anche di una settimana i sei anni, può ancora amare un personaggio così insulso e scialbo? Solo a me, sin da piccolo, è salito un odio profondo nei confronti dell’ameba gialla di pezza, dell’orsacchiotto senza spina dorsale, di uno dei personaggi più inutili della storia della letteratura per ragazzi e del cinema d’animazione?

È molto meglio Ted, l’orso volgare protagonista dell’omonimo film diretto dal creatore dei Griffin Seth MacFarlane. L’anti-peluche per eccellenza, che si droga, fa sesso, impreca, truffa, che si ribella al ruolo che la società ha scelto per lui. Ha tutto il coraggio, insomma, che è sempre mancato a quella mammoletta di Winnie, personaggetto che ha contribuito a tirar su generazioni di mezze pippe, cagionevoli e  bianchicci cocchi di mamma che della vita, ahiloro, non si sono mai goduti un cazzo.

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