La produzione di materiali di propaganda dello Stato Islamico è in drastica riduzione e coincide con i successi militari della coalizione internazionale in Siria e in Iraq. Lo afferma una ricerca pubblicata lunedì scorso dal Combat Terrorism Center di West Point. Il centro statunitense ha analizzato video e foto diffuse sui social network solo da “media ufficiali” dello Stato Islamico e i numeri parlano chiaro: se si prendono in considerazione i 700 prodotti rilasciati nell’agosto del 2015, nel periodo di attività massima delle “agenzie” affiliate al califfato, si nota che questo numero è sceso a 200 nell’arco dell’ultimo anno.

Inoltre, i bombardamenti della coalizione hanno provocato negli ultimi mesi perdite pesantissime tra i leader che guidano la comunicazione del califfato. Due giorni fa è arrivata la conferma da parte dello Stato Islamico della morte di Wa’il Adil Hasan Salman al-Fayad, “ministro” dell’informazione dello Stato Islamico, ucciso in un raid aereo nella provincia di Raqqa a settembre. Wa’il era un uomo molto vicino a Abu Muhammad al-Adnani, che dell’Isis era considerato portavoce e uno dei leader per la pianificazione degli attentati all’estero. Anche al-Adnani è rimasto ucciso lo scorso agosto in un raid della coalizione ad Al-Bab, paese siriano del governatorato di Aleppo.

Nello stesso periodo la diffusione di materiali che raccontano gli interventi militari dei combattenti sono aumentati del 70%, mentre dal 2014 al 2015 erano predominati i video che propagandavano la vita nello Stato Islamico, dal commercio all’amministrazione nelle città controllate dagli uomini di Al-Baghdadi. “Chi si occupa della comunicazione del califfato è anche un combattente – ha spiegato al New York Times Daniel Milton, direttore della ricerca al Combat Terrorism Center – di conseguenza l’aumento del loro impegno militare ha coinciso con una diminuzione dell’attività sui media”.

I sofisticati video di propaganda dello Stato Islamico sono stati uno dei punti di forza per il reclutamento dei foreign fighter ma secondo i dati del Pentagona, diffusi ad aprile, il numero di jihadisti che entrano in Siria è passato da 2.000 a 200 al mese nell’arco dell’ultimo anno. Il calo dei combattenti stranieri, inoltre, è dovuto anche alla chiusura definitiva del confine turco all’inizio del 2016. A giugno Brett Gurk, inviato di Barack Obama per la coalizione internazionale impegnata contro l’Isis, ha affermato che il numero di jihadisti stranieri presenti sul territorio è passato da 33 mila a 20 mila.

Diversi report pubblicati negli ultimi mesi parlano, poi, di una diminuzione del territorio controllato dallo Stato Islamico tra Siria e Iraq. Secondo nuovi dati pubblicati dall’Ihs Conflict Monitor, gli jihadisti hanno perso oltre un quarto del territorio controllato nel gennaio 2015, momento della sua massima espansione. Pur evidenziando un rallentamento negli ultimi tre mesi nell’avanzata contro i jihadisti, l’istituto sottolinea però l’importanza strategica dei più recenti arretramenti dell’Isis. “La perdita di un accesso diretto alle strade che portano al confine con la Turchia – conferma il  rapporto – riducono fortemente la capacità del gruppo di reclutare nuovi combattenti dall’estero”.

Nel gennaio 2015 la zona controllata dallo Stato islamico era pari a 90.800 km quadrati, diventati oggi 65.500. Negli ultimi tre mesi i km quadrati persi sono stati solo 2.800, in coincidenza con una riduzione degli attacchi aerei russi, nota l’Ihs. Alex Kokcharov, principale analista della Russia per l’istituto di ricerca, afferma che i dati raccolti smentiscono l’affermazione del presidente Vladimir Putin secondo cui la missione della Russia è di combattere l’Isis. “La priorità di Mosca – afferma – è fornire appoggio militare al governo di Assad” e trasformare “la guerra civile siriana con diversi attori in una guerra tra il governo di Damasco e gruppi jihadisti come lo Stato Islamico”.

Analista: “Ripiegamento strategico per risparmiare risorse e limitare controlli” – “La correlazione tra la diminuzione della propaganda e quella dei foreign fighter è plausibile perché il reclutamento dipende dalla perpetuazione dell’immagine dell’universo jihadista come un universo in espansione – spiega a IlFattoQuotidiano.it Francesco Strazzari, docente di Relazioni internazionali della Scuola Sant’Anna di Pisa – se l’Isis perde terreno e smette di raccontare le sue conquiste, è altamente probabile che tutta la parte di combattenti assoldati tramite il web cominci ad assottigliarsi”.

Ma le cause della diminuzione della propaganda dei seguaci di Al-Baghdadi possono essere rinvenute anche sul piano strategico e militare. “Diversi stati hanno messo in atto un giro di vite sulla sicurezza web per ottenere più informazioni sull’organizzazione e sui suoi sostenitori – continua Strazzari – tutto è molto più controllato di prima e in un momento di difficoltà militare ci potrebbe essere l’intenzione da parte dell’Isis di diminuire la produzione dei materiali di propaganda per evitare un eccessivo controllo da parte delle autorità internazionali”.

Infine, di fronte alla pressione militare fatta dalla coalizione internazionale la riorganizzazione a livello miliare sembra sempre più vicina. Secondo diversi analisti, i vertici dello Stato Islamico potrebbero dover lavorare a una nuova fase che potrebbe segnare un ritorno all’insurgency simile a quella fatta dall’organizzazione in Iraq tra il 2006 e il 2008. “Potremmo trovarci di fronte a un ripiegamento strategico – conclude Strazzari – lo Stato Islamico starebbe iniziando a salvare risorse nella comunicazione per destinarle a nuovi obiettivi”.

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