Stare con i piedi per terra proprio non gli riesce. In compenso per mare non c’è sfida che lo intimorisca. Perché Vittorio Malingri, uno dei più grandi protagonisti della vela italiana, è un marinaio nato: quando sbarca, è solo per studiare un nuovo progetto col quale riprendere il largo. Il suo è un “vizio” di famiglia che si tramanda di generazione in generazione. Sin da quando, nel lontano 1977, il padre Franco, a tavola con degli amici, non decise che era arrivato il momento di salpare. “Erano tutti appassionati di vela – ricorda Vittorio, primo italiano a partecipare alla celebre regata Vendée Globe, una circumnavigazione in solitaria per un totale di 21,600 miglia – Dopo il matrimonio, con l’arrivo dei figli non riuscivano ad andare in barca come prima. Così decisero di iniziare ad andar per mare con i cabinati. Mio padre quella sera era in vena di sfide e promise che un anno esatto dopo sarebbe partito per il giro del mondo”.

Gli ingegneri, si sa, sono persone precise. Se progettano qualcosa, lo fanno seriamente. Fu così che la famiglia Malingri al completo si ritrovò in mezzo al mare per ben due anni a bordo di un cabinato CS&RB con cui lo zio Doi aveva partecipato alla prima edizione della Withbread Round The Zorld Race, regata oceanica attorno al mondo. Del resto Franco poteva contare su competenze tecniche non comuni: quella imbarcazione l’aveva progettata lui. Vittorio, classe 1961, aveva 17 anni e aveva già maturato un’esperienza velistica decennale accanto al padre. Quel giro del mondo segnò però un passaggio importate nella sua vita. Primo di tre fratelli, Vittorio imparò ad ascoltare i segreti nascosti fra le onde. “E’ il mare lì che ti fa passare, tu lo devi interpretare per capire dove”, racconta a ilfattoquotidiano.it dando agli oceani quasi un tratto antropomorfico.

Per il giovane Mailingri inizia così una lunga avventura intorno al mondo. Dopo il rientro, appena ventenne Vittorio s’inventa la prima base velica di Cuba, a Cayo Lago del Sur. In quel posto magico lavorano altri grandi protagonisti della vela oceanica. Fra questi anche Giovanni Soldini, “un amico fraterno” con cui Vittorio è spesso in barca. Dopo qualche anno s’insedia alle Bahamas, per due anni, occupandosi di turismo e charter. Intanto mette via i soldi necessari a costruire Huck Finn, un Moana 33 piedi cui dà il nome dell’amico di Tom Sawyer che viveva felicemente libero come il vento lungo le sponde del Mississipi. La passione per il mare e i viaggi lo spingono a lungo in giro per il mondo. Al punto che, pur non avendo mai tenuto il conto delle miglia, si dice ne abbia percorse più di 400mila. Che cosa gli è rimasto di tanto navigare? “E’ meraviglioso poter immergersi in culture diverse, avere il contatto con popolazioni che hanno usi e costumi completamente diversi dai nostri. Osservare, guardare, condividere”, spiega. Ma è bello anche tornare. A Milano, la sua città d’origine, che, pur lontana dal mare, resta il “cuore della nautica”. “E’ casa mia. Dopo tante miglia e mille diverse esperienze, mi ritrovo alcune volte a riscoprire i posti di Milano che sono nascosti nella mia memoria”.

Inutile negarlo, il suo è uno stile di vita fuori dalle righe: ha una base su terra in Umbria, ma vive sostanzialmente in mare “al 2mila per mille. Io e la barca. Tutt’uno in velocità”. Ogni sfida è quindi un traguardo per appagare quel desiderio di mettersi alla prova, come marinaio e progettista: “ho fatto tutti i mestieri del mare. Meno quelli in cui si fanno i soldi” racconta sorridendo. Ora è arrivata una sfida che riporta la mente al passato. Quella con accanto un marinaio speciale: suo figlio Nico, in arte Nano, che quando aveva solo un anno ha assistito dal pontile alla partenza di Vittorio per la Vendée-Globe. Ha 25 anni ed è il secondogenito dell’equipaggio che Vittorio preferisce. Quello cioè composto dai suoi figli: Manuele (26 anni), Nina (12) e Mila (6) e Nico per l’appunto. Di suo padre ha quella profonda passione di famiglia per il mare e al suo attivo conta undici traversate atlantiche, di cui una nel profondo Sud Atlantico. Nelle ultime due stagioni ha avuto anche il comando e la responsabilità di Huck Finn II, una barca da 20 metri che Vittorio ha voluto trasformare in una nave scuola. “In mare è tutto un po’ scuola”, conclude lasciando intendere che c’è sempre da imparare. E rivela un piccolo-grande sogno nel cassetto: “Mi piacerebbe un giorno che anche l’Italia potesse avere una grande imbarcazione come quelle che hanno Paesi come la Norvegia per insegnare la vela. Sarebbe fantastico avere una fregata”.

In attesa che anche questo progetto possa avverarsi con gli adeguati supporti istituzionali, Malingri riprende il largo sotto il logo Citroën Unconventional team. All’orizzonte il primo record italiano nella Portofino-Giraglia-Portofino su un F20, un piccolo catamarano non abitabile. E poi con il nuovo anno la Dakar-Guadalupa, una traversata atlantica per battere il record di 11 giorni 11 ore e 25 minuti dei francesi Pierre-Yves Moreau e Benoît Lequin. Non sarà facile. Padre e figlio, insieme su un catamarano scoperto di appena sei metri. Ma sarà di certo un’ avventura speciale per la famiglia Malingri che scriverà così una nuova pagina della storia della vela italiana.

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