Continua a salire la tensione fra Ankara e Baghdad, a seguito dell’annuncio di Recep Tayyip Erdogan della partecipazione dell’esercito turco alla liberazione di Mosul, roccaforte dell’Isis in Iraq. In risposta alle rimostranze di Baghdad, che era tornata a denunciare all’Onu come una violazione della sua sovranità territoriale la presenza di truppe di Ankara nella base di Bashiqa, circa 30 km a nord-est di Mosul, Erdogan ha invitato Haider al Abadi “a stare al suo posto”. Ma il premier iracheno ha ribattuto che il leader turco sta portando il suo esercito “in un’avventura e in un’aggressione ad un Paese vicino dalle conseguenze ignote”, avvertendo che gli iracheni “resisteranno all’occupazione del loro Paese” .

Da diversi mesi l’esercito regolare iracheno, i miliziani sunniti, sciiti e i peshmerga curdi sono fermi intorno a Mosul, un tempo seconda città del Paese, multiconfessionale e multietnica, ma a maggioranza sunnita. Ma l’offensiva finale tarda a cominciare a causa delle tensioni nel fronte dei ‘liberatori’: i conflitti che potrebbero scoppiare, senza un accordo tra le diverse forze, in merito alla spartizione e all’amministrazione del territorio. In aggiunta, le organizzazioni umanitarie prevedono che un milione di abitanti della città potrebbero essere costretti a fuggire a causa dei combattimenti.

A inasprire ulteriormente i contrasti nel fronte anti-Isis è stato l’ingresso dei turchi nel paese. L’intento di Ankara, secondo alcuni osservatori, sembra quello di contrastare un’eventuale ingresso a Mosul di milizie sciite filo-iraniane alleate con il governo iracheno. Secondo Al Araby al Jadid, quotidiano panarabo con sede a Londra, nel fronte di Mobilitazione Popolare, forza paramilitare irachena sciita, sarebbero inquadrati migliaia di Basij e di Pasdaran iraniani.

Dalla parte opposta, la Turchia è stata accusata da molte parti di addestrare, nella sua base di Bashiqa, miliziani sunniti iracheni inquadrati nelle forze paramilitari anti-isis, e di essere intervenuta principalmente per combattere le forze presenti in Iraq del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che si battono per l’indipendenza delle regioni turche. Erdogan si è difeso da questa accusa dichiarando che la presenza delle truppe di Ankara è finalizzata a far sì che la programmata operazione per cacciare lo Stato islamico dalla città irachena di Mosul non provochi “fuoco e sangue” nella regione, determinando conflitti settari.

Ma le autorità della regione del Kurdistan iracheno hanno affermato che i loro miliziani Peshmerga non si ritireranno dai territori della provincia di Ninive – di cui Mosul è capoluogo – e di quella di Kirkuk, ricca di petrolio, che negli ultimi due anni hanno conquistato combattendo contro l’Isis.

Tal Afar, circa 65 km a ovest di Mosul, potrebbe essere la località dove tutte queste tensioni rischiano di concretizzarsi. La città ha dato i natali a molti leader dell’Isis e ospita una nutrita comunità turkmena, sia sciita che sunnita. Le milizie sciite pretendono di svolgere un ruolo a Tal Afar, a protezione della significativa minoranza sciita. Ma eventuali azioni di vendetta contro la maggioranza sunnita potrebbero spingere le forze turche a intervenire. Per questo “è meglio mantenere le milizie sciite fuori da Tal Afar – ha detto l’ex governatore Nujaifi – è una cattiva idea averle lì. Stiamo cercando di evitarlo con la politica, perché non possiamo impedirlo con la forza”. Ad aggravare la situazione potrebbe essere il coinvolgimento di milizie locali cristiane e yazide.

Per il momento, le tensioni nel fronte continuano a manifestarsi in dichiarazioni e risposte a mezzo stampa. Anche al Abadi ha spostato le tensioni su Twitter dove, rivolto all’account di Erdogan, scrive: “Noi non siamo vostri nemici e la nostra terra sarà liberata attraverso la volontà dei nostri uomini e non di video appelli”.

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