“Vorresti acquisire o spendere le tue competenze nel settore dei beni culturali? Sei interessato a conoscere il mondo della ricerca scientifica? Ti piace il gioco di squadra?”. Inizia così la Campagna di reclutamento volontari per supporto all’attività di ricerca promossa dall’Ibam, l’Istituto per i Beni archeologici e monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Soltanto una circostanza che si ripete? Un’ennesima chiamata alle armi per volontari desiderosi di impegnarsi nella conoscenza/salvezza del nostro Patrimonio storico-artistico-archeologico? E’ sufficiente leggere per intero il progetto per capire. Niente a che vedere con il protocollo d’intesa tra Mibact e Ministero del Lavoro che prevedeva la realizzazione di progetti nei quali impiegare 2000 volontari in servizio civile nazionale nella promozione dello svolgimento di attività di tutela, di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale.

Nessuna similitudine neppure con quanto promettono associazioni e fondazioni, a partire dal Fai. In questo caso non è prevista alcuna retribuzione e non esistono quote d’iscrizione. Diversi anche i requisiti. “Sono ammessi a partecipare alla call coloro i quali abbiano conseguito la Laurea o siano studenti di uno dei seguenti corsi di Laurea*”. Seguono le lauree Triennali e quelle Magistrali ammesse. Quasi tutte comprese nell’ambito di pertinenza.

Insomma ad avere la possibilità di rientrare nella selezione ci sono addetti ai lavori. Anche se non necessariamente in possesso della laurea. Spazio a tutti, senza restrizioni. D’altra parte perché mai farne? Non sarebbe utile. Già perché in questo caso i volontari non presteranno semplicemente la loro opera. Non saranno loro a offrire le loro conoscenze, le loro esperienze a favore del Patrimonio. Sarà l’Ibam a offrire loro un’opportunità. Quella “di collaborare alle attività di ricerca multisciplinari, di divulgazione, di comunicazione e di valorizzazione del patrimonio culturale nelle quali è attualmente coinvolto”. Avere qualche notizia in più impossibile. “Tutte le attività saranno svolte, secondo modalità e tempi da concordare, presso la sede dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali del Cnr di Catania (e suoi laboratori)”. In compenso chiarito che il ”periodo minimo di attività è pari a mesi 6”, ed anche che “al completamento del quale sarà rilasciato regolare attestato di frequenza”.

A questo punto le prime incertezze sembrano svanire. Anche se al loro posto si materializzano le disillusioni. Di chi non riesce ad accettare che si continui, strumentalmente, a confondere mansioni di volontari e professionisti. Già perché anche a Catania sembra andare in scena l’ennesimo tentativo di delegittimare definitivamente l’idea secondo la quale l’addetto ai lavori nel campo dei Beni culturali che presti la sua opera abbia diritto ad essere retribuito. Anzi, debba esserlo in maniera adeguata. Ancora in una volta si contrabbanda la possibilità di “partecipare ad attività di ricerca” con la gratuità. La circostanza che in questo caso a farlo sia, così come è descritto l’Ibam, “una struttura scientifica multidisciplinare con competenze altamente specializzate nel settore della conoscenza, documentazione, diagnosi, conservazione, valorizzazione, fruizione e comunicazione del patrimonio archeologico e monumentale”, un po’ disorienta. Di certo avvilisce. Tanto più considerando che l’Ibam è una diretta emanazione di un ente come il Cnr per il quale la ricerca e quindi chi vi si applica, dovrebbero essere elementi prioritari.

Al di là di tutto una brutta storia nella quale ad avere la peggio non è una categoria e neppure un Ente, ma la speranza. Quella di laureati, più o meno giovani, che la rincorsa all’occupazione, seppure temporanea, non sia infinita. Che la rincorsa non sia frenata dal volontariato.

Quel che è certo è che si rafforza sempre più la sensazione che nella valorizzazione del Patrimonio culturale italiano, che esalta manager e volontari, ci sia sempre meno spazio per le competenze. Anzi che queste siano quasi un fastidioso intralcio.

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