Da un lato chi, come il premier uscente promette l’ingresso nell’Ue e nella Nato. Dall’altro la realtà di diritti umani calpestati, giornalisti uccisi, processi inesistenti e scandali variopinti a poche miglia nautiche dalle coste italiane. Il Montenegro va al voto (16 ottobre) stretto nella morsa del premier-padrone Miko Djukanovic, da 25 anni ininterrottamente al potere nonostante sia stato eletto “criminale dell’anno” e il Foreign Office Usa lo abbia dipinto come “Stato mafioso”.

A tentare di togliergli la leadership ecco La Chiave, una coalizione capeggiata da Miodrag Lekicdal e dal Fronte Democratico sostenuto da liste civiche, in un Paese che secondo Transparency International negli ultimi 24 mesi si è reso protagonista di ben 842 casi di irregolarità elettorali, rivelando uno scarso impegno del governo per la democrazia e per il contrasto alla corruzione.

Ma è alla voce scandali che la nomenklatura targata Djukanovic ha dato il meglio di sé negli ultimi anni. E’ del 2011 lo scandalo legato al caso Telekom Magyar, Deutsche Telekom e Montenegro.

Il Dipartimento statunitense della Giustizia (Securities and Exchange Commission, Sec) ha indagato Magyar e Deutsche Telekom in quanto società quotate al New York Stock Exchange per presunte tangenti versate a familiari di Djukanovic. Le aziende hanno dovuto pagare quasi 64 milioni di dollari in sanzioni penali. In particolare, Magyar Telekom ha ammesso di aver corrotto due funzionari del governo e la sorella del signor Djukanovic.

Il circolo familiare del premier uscente, in passato condannato per contrabbando internazionale di sigarette dai tribunali di Napoli e Bari, ma “salvato” dall’immunità, ha nelle proprie mani tutte le leve finanziarie del Montenegro. Nel 2010 è finita sotto la lente di ingrandimento la Prva Banka, controllata dalla famiglia Djukanovic. La maggior parte del denaro depositato in banca proveniva da fondi pubblici, mentre due terzi dei prestiti emessi non hanno ricevuto alcun interesse in cambio: il fatto che una banca prestasse soldi gratis ha fatto insospettire gli investigatori internazionali che si sono messi alle calcagna del premier. E hanno scoperto i suoi legami con due vecchie conoscenze della giustizia italiana: Stanko Subotic e Darko Saric, in passato incriminati dall’anti-mafia italiana, e condannati per traffico di droga.

Si tratta di una serie di scandali ed episodi che fanno da contraltare all’intenzione di Unione europea e Nato di inglobare al proprio interno il Montenegro, che presenta altri elementi di forte disturbo. Come il debito pubblico, schizzato da zero al 70% del pil in pochi anni, o i progressi nulli alla voce polarizzazione del clima interno e mancanza di legalità e concorrenza certificata dal report della Commissione Europea del marzo scorso.

Il Montenegro, così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi anni, rischia quindi di diventare lo stato balcanico meno avvezzo alle riforme e al processo di sensibilizzazione dei diritti umani, passando per una libertà di stampa sempre più chimera per i non allineati. E’ la ragione che ha spinto il Fronte democratico non solo a concentrarsi sulle emozioni e sulle cosiddette “Primavere balcaniche”, con marce di protesta di giovani e meno giovani nelle piazze di Podgorica, ma a fare un passo in più nella direzione programma.

Il vademecum proposto dalla Chiave suggerisce lo sviluppo di energia “verde” accanto alla consueta industria dei metalli, perché solo intrecciate possono essere la base (legale e logica) per la crescita dell’economia. Inoltre promettono la creazione di zone economiche esclusive e porti franchi, con seri provvedimenti a sostegno del settore agricolo che non si tramutino in fondi a pioggia e clientelari, così come fatto sino ad oggi, ma inquadrati in un’ottica di programmazione e investimenti aperti all’internazionalizzazione. Il programma include anche la riduzione degli oneri burocratici, le modifiche al sistema fiscale e bancario, la creazione di un ambiente favorevole all’integrazione delle minoranze etniche.

Proprio i partiti che formano il Fronte Democratico hanno agito da propellente per le forti proteste di piazza a Podgorica andate in scena lo scorso mese di dicembre, che hanno costretto Đukanović a formare un governo di coalizione e quindi annunciare nuove elezioni. E’ a loro che un’Ue moderna e inclusiva dovrebbe guardare.

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