A pagina 68 di Affari e Finanza del 3 ottobre si dà notizia che il primo ministro inglese Theresa May ha dato via libera al progetto del grande impianto nucleare di Hinkley Point “per un investimento di oltre 18 miliardi di sterline”, con il sostegno della Commissione Ue – nonostante la Brexit – e nonostante la lievitazione dei costi di realizzazione del nucleare sia cresciuta del 48% rispetto al 2008. La valutazione dei costi dell’operazione – già così insensati – è comunque sottovalutata nell’articolo di Repubblica e, se facciamo i conti reali e sveliamo i retroscena tutto apparirà ancora più incredibilmente assurdo.

Questa storia parla di due reattori nucleari che dovrebbero essere ricostruiti in Gran Bretagna. Hinkley Point è già sede di un impianto composto da due reattori, chiusi nell’anno 2000, e da due ancora in servizio, anche se destinati a chiudere i battenti a breve, dopo quarant’anni di attività. In tale prospettiva nell’Ottobre del 2013 il governo inglese concluse un accordo con la francese Edf (Eletricité de France), per evitare la chiusura del complesso, e rilanciarlo costruendovi due nuovi reattori di tipo Epr (Evolutionary Power Reactor).

Va premesso che la Gran Bretagna nel 2015 ha prodotto il 21% della sua elettricità col nucleare, ma gli impianti sono vecchi, sono vent’anni che il settore è fermo, quindi entro il 2023 tutti, tranne uno, dovrebbero chiudere i battenti. Edf, l’impresa di Stato francese, si era proposta di costruire e gestire i due reattori di Hinkley e lo aveva fatto strappando un accordo che le garantirebbe un prezzo fisso dell’elettricità prodotta (garantito per 35 anni). Già al momento dell’accordo furono molte le critiche dell’opposizione a David Cameron (allora primo ministro): qualcuno ironizzò che il governo inglese non riusciva a stabilizzare il prezzo dell’elettricità per i cittadini inglesi, ma riusciva a farlo per Edf per 35 anni.

Il (pre)contratto in effetti garantisce un prezzo stabile di 92,5 sterline (117 euro) per ogni megawattora prodotto, stabilendo che il governo inglese pagherà la differenza fra questo importo e quello di mercato, incappando nelle regole europee che negano aiuti di stato. Orbene questo prezzo è il doppio del prezzo della borsa elettrica inglese; è persino più del doppio del prezzo attuale in Italia: 40 euro al megawattora! Inoltre, il governo inglese si farebbe garante per tutti i debiti contratti dall’operatore sul mercato finanziario per reperire i fondi necessari alla costruzione, e saranno molti visto che il preventivo del 2012 di Edf per due impianti da 3,3 MW complessivi era di 16 miliardi di sterline (20 miliardi di euro) ma oggi si parla di 34 miliardi di sterline (43 miliardi di euro). Si tratta quindi di un progetto “titanico” che la stampa francese ha paragonato alla costruzione del canale di Suez, al Concorde e all’Eurotunnel.

In queste condizioni, qualcuno ha cominciato a dubitare della bontà dell’accordo inglese, poiché, se qualcosa andasse storto (e sinora per gli Epr in costruzione le cose sono andate sempre storte) il rischio finanziario sarebbe enorme e l’affare potrebbe trasformarsi in un fallimento. La realtà esibita dai bilanci societari di Areva (fiduciaria di Edf) la ditta costruttrice degli Epr è quella di una impresa con una capitalizzazione intorno ai 18 miliardi di euro ed un debito di 37. In questo quadro Hinkley Point diventa un punto fermo per i francesi perché il ricavo stimato risulta necessario per mantenere l’equilibrio finanziario e per mantenere in vita Areva. Ma si tratta di un gioco ad alto rischio.

C’è in più una complicazione cinese. Cameron ha portato avanti il progetto arrivando a benedire anche l’ingresso della Cina, come cofinanziatore. E col vincolo che la tecnologia utilizzata per i futuri reattori sia cinese e lo sia quindi anche la maggioranza azionaria del progetto di riqualificazione nucleare di tutta la filiera. La May, inizialmente contraria, ora non se la è sentita di bloccare tutto, non tanto per non rovinare i rapporti con la Francia, ma piuttosto quelli con la Cina. La sensazione è quindi che la May si troverà costretta a procedere col nucleare, perché la Gran Bretagna ha bisogno del denaro cinese.

Infine c’è la malafede della Commissione Ue. Nel 2014 16 dei 28 membri della Commissione europea (gli altri erano assenti), hanno preso con 10 voti contro cinque e un’astensione la decisione di approvare la sovvenzione fino a 20 miliardi di euro degli inglesi al nuovo impianto nucleare. Una storia apparentemente lontana da noi, ancor più dopo la Brexit, ma che enormi interessi finanziari e politici mantengono in piedi (che ne dice Renzi, visto che hanno fatto ricorso solo Austria e Lussemburgo?). La transizione energetica coinvolge tutti; ed i progetti inglesi non rispondono alla logica di creare sistemi energetici locali, distribuiti, ma al vecchio paradigma di un sistema in mano a pochi perché affare di grandi capitali. Infine, una storia che esemplifica come importanti decisioni siano ostaggio di logiche economiche che esulano dal tema in discussione, dall’interesse dei cittadini, dalla loro sovranità sempre più messa in discussione.

di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli – per dati ulteriori www.energiafelice.it

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