L’Italia spende il 16% del pil per le pensioni, quota che la posiziona al primo posto tra i 35 Paesi membri dell’Ocse. In compenso fa poco per i giovani: solo in Turchia la quota di ragazzi tra i 15 e i 29 anni senza lavoro e non impegnati in attività di formazione, i cosiddetti Neet, è più alta che nella Penisola, dove si attesta al 27%. E’ quello che emerge dal rapporto Society at a glance dell’organizzazione parigina, secondo cui Roma “sta migliorando la sostenibilità finanziaria del suo sistema pensionistico grazie a riforme strutturali di lungo periodo (Transizione verso un sistema nozionale a contributi definiti e aumento dell’età pensionabile)”. Un miglioramento che non tiene però conto delle misure per rendere flessibile l’età di uscita dal lavoro che saranno inserite nella legge di Bilancio.

L’Italia, si legge nel rapporto, è al quarto posto nell’Ocse per quanto riguarda la spesa complessiva in protezione sociale pubblica, pari al 29% del pil contro una media del 22% per i Paesi industrializzati. Ma a fare la parte del leone sono appunto gli assegni alla popolazione anziana: nel 2015, del resto, c’erano 38 anziani (65 anni di età o oltre) ogni 100 persone di età compresa fra i 20 e i 64 anni. Un livello due volte più elevato che nel 1970 (19%), ma solo la metà di quello stimato per il 2060 (74%).

Il nostro Paese, che vanta la quarta più alta aspettativa di vita (83,2 anni) dopo Giappone, Spagna e Svizzera, ha anche la quota più bassa di giovani di età compresa fra i 15 e i 29 anni, pari al 15%, contro una media Ocse del 19%. Ed è qui il tasto dolente: la proporzione di giovani non occupati e non in istruzione o formazione (Neet), che prima del 2007 era intorno al 20%, 4 punti percentuali sopra la media Ocse, tra il 2007 e il 2014 è costantemente aumentata raggiungendo il 27%, il secondo più alto nell’Ocse dopo la Turchia. Il tasso di Neet ha registrato una modesta riduzione nel 2015 (corrispondente a quasi 2,5 milioni di Neet), ma resta significativamente sopra i livelli pre-crisi, quasi il doppio della media Ocse (15%).

Come in altri paesi Ocse, la maggioranza dei giovani Neet (60%) non cerca nemmeno un lavoro. Le giovani donne sono la parte preponderante, sebbene la loro quota sia scesa dal 60% del totale (composta per la maggioranza da donne inattive) prima della crisi, a circa la metà nel 2014. Tale diminuzione relativa è in parte dovuta al fatto che l’aumento della disoccupazione giovanile, durante la crisi, ha colpito più i giovani uomini che le giovani donne. Come in tutti i paesi Ocse, il fenomeno dei Neet è più diffuso fra i giovani con bassi livelli di istruzione rispetto ai più istruiti. Il tasso di abbandono scolastico resta molto elevato in Italia, dove circa il 30% degli uomini e il 23% delle donne di età compresa fra i 25 e i 34 anni non ha un titolo di scuola secondaria superiore, in confronto a una media Ocse rispettivamente del 18% e 14%.
Fra i giovani italiani nati all’estero, il tasso di Neet è più alto di circa un terzo rispetto ai giovani nati in Italia. Tuttavia tale divario è minore rispetto alla media dei paesi Ocse, dove i giovani nati al di fuori dei rispettivi paesi hanno, in media, il 50% di probabilità in più di essere Neet.

Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil, ha contestato i dati sulla spesa pensionistica dicendo che nella percentuale del 16% “sono ricomprese tutta la spesa assistenziale, 53 miliardi, il Tfr, che è salario differito, e numerose altre voci che non hanno niente a che vedere con la previdenza”, mentre “la spesa pura per pensioni, in Italia, come più volte dimostrato dalla Uil, è del 10,15%, quindi, sotto la media europea, dato che ha trovato conferma da parte di importanti centri studi del nostro Paese”.

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