Difficile raccontare quanto sto per raccontare. Anche se cercare e trovare le parole giuste sono il mio mestiere. Il fatto è che Paola Turci – è di lei che si parlerà in questo scritto – ha deciso di mettere in scena uno spettacolo che non può non essere raccontato. Anche se è praticamente impossibile raccontarlo. Perché Paola Turci ha deciso di mettere in scena, con l’aiuto della coautrice Alessandra Rucco e del regista e direttore del Teatro Ciro MenottiEmilio Russo, una porzione consistente della propria anima, nuda.

Ora, mettere in mostra la propria anima, agli occhi degli idealisti, è quanto ogni artista dovrebbe sempre fare. Ma è anche vero che, come se Dio o chi per lui avesse ideato il mondo anticipando di millenni Snapchat, l’anima che gli artisti mettono in mostra tende a scomparire in pochi secondi, per poi ripresentarsi allo sguardo o all’ascolto successivo.

Con Mi amerò lo stesso, monologo andato in scena per quattro serate nel teatro milanese e che – di questo in realtà parla questo scritto – non può non essere portato in giro per l’Italia, isole comprese, Paola Turci riesce nell’impresa impossibile di cristallizzare l’attimo in cui l’anima è lì, nuda, sotto gli occhi di tutti. A partire dai suoi, di occhi. La storia di Paola Turci, la storia personale di Paola Turci, suppergiù la conosciamo tutti. Una delle voci più belle e popolari della canzone italiana, sin dagli anni Ottanta, nel 1993 durante un viaggio ha un bruttissimo incidente che le ferisce il viso, lasciando segni impossibili da cancellare. Una storia brutta, che sicuramente ha cambiato la sua vita, ma non ha fermato la sua storia artistica.

Mi amerò lo stesso parla di questo. Parla anche di questo. Parte come un monologo fatto da Paola a se stessa, in camerino, mentre la folla aspetta il suo ingresso in scena, dall’altra parte del palco. È questa la prospettiva del palco. Siamo nei camerini e il sipario che fa da fondale, è quello di un concerto. Paola parla con se stessa, e parla di come, per tutta la sua infanzia e giovinezza, sia stata considerata una bambina e una ragazza normale, non brutta, ma neanche bella.

Il monologo procede tra guizzi ironici e momenti più emotivi, perché si capisce da subito che il monologo è autobiografico, del resto porta lo stesso titolo del libro in cui ha raccontato la sua vita, e perché il momento dell’incidente, che poi verrà raccontato, è lì, nella memoria di tutti gli spettatori. Il rapporto con la bellezza, con la percezione che ognuno ha di sé e che gli altri hanno di te fungono da filo rosso intorno al quale Paola gioca, togliendo bende e vestiti alla sua anima.

Si ride, ci si commuove, la si sente cantare, raramente, a cappella e si capisce come la sua anima, in fondo, è sempre stata lì, alla portata di tutti. Poi si arriva al momento dell’incidente, raccontato con ossessiva precisione, come in una rievocazione spiritica. Un momento doloroso, ma doloroso davvero, disturbante, in cui Paola fa esercizi zen mentre racconta eventi tragici, una luce gialla puntata verso gli spettatori.

Senza svelare altro, perché questo spettacolo, di cui al momento non è prevista una turné lo dovete proprio vedere, vi basti sapere che l’anima che Paola Turci ci mostra, la stessa anima che solitamente ci trasmette nelle sue canzoni attraverso una voce incredibilmente empatica, non mostra deturpazioni, anche in virtù delle deturpazioni che l’incidente raccontato in maniera così precisa in Mi amerò lo stesso hanno lasciato sul viso di Paola Turci.

È come se l’aura, che in realtà Paola Turci ha sempre avuto, il carisma, il “fattore X” o come diavolo volete chiamare quella capacità propria degli artisti di arrivare anche con la loro sola presenza in una stanza, si fosse ulteriormente accesa, con questa messa in scena, con questa condivisione, con questo percorso compiuto in compagnia del pubblico.

Ora, prima di arrivare alle legittime conclusioni di questo pezzo, credo possa essere d’aiuto al lettore sapere come Paola Turci, la Paola Turci che conoscete per le sue canzoni, è in realtà di rara bellezza. Di quella bellezza che in effetti sembra riconoscersi solo nel finale del monologo, quando è pronta per entrare in scena (nella scena che sta alle spalle del palco, dietro il finto sipario). Lo è sempre stata, prima dell’incidente, e anche dopo. Chi ha avuto occasione di incontrarla non ha potuto non percepire quella bellezza, quella stessa bellezza che passa solitamente dalla sua voce. Con Mi amerò lo stesso, forse, anche lei ne ha preso atto.

Per tornare però allo scopo di questo articolo, ora tocca fare in modo che questo spettacolo, che in realtà parla appunto di bellezza, di presa di coscienza della propria bellezza, che ovviamente non è riferita a canoni estetici, non è di quello che si sta parlando, santo Iddio, di quella bellezza che si trova, appunto, lì, sotto le bende che la vita ci pone intorno e che spesso non riusciamo a vedere proprio perché soffocata.

Quindi, questo è un appello, qualcuno si prenda briga di portare questo spettacolo in giro per l’Italia. Lanciamo una raccolta fondi, chiamiamo all’adunata le case di produzioni, contattiamo uno a uno i direttori artistici dei teatri, facciamo qualcosa. Facciamolo per noi, perché non c’è niente di altrettanto balsamico che la condivisione delle anime nude.

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