La sua mozione non è passata. E lui, come promesso, si è dimesso. E’ finito così, con una sfiducia e un mare di polemiche, il mandato di Pedro Sanchez alla segreteria del Psoe, il Partito socialista spagnolo. La proposta dell’ormai ex segretario è stata respinta con 133 voti contrari e 107 a favore: Sanchez aveva chiesto di organizzare le primarie a ottobre e convocare un congresso straordinario a novembre. Ieri lo stesso esponente socialista aveva affermato che se fosse stato battuto si sarebbe dimesso. E così ha fatto. I suoi oppositori, con in testa la presidente dell’Andalusia Susana Daz, hanno chiesto una direzione provvisoria alla guida del partito. Saranno accontentati. “Ho sempre creduto che il Partito socialista potesse offrire un’alternativa, ma purtroppo non è stato possibile, quindi mi dimetto. E’ stato un onore” ha detto Sanchez, secondo quanto riferisce una fonte del suo entourage.

Pedro Sanchez, in carica dal 2014, passerà alla storia come il segretario che ha firmato nell’ultimo anno cinque sconfitte storiche per i socialisti, in altrettante elezioni: due politiche, le catalane, le basche e le galiziane. Sotto la sua guida il Psoe è precipitato dal 48% che aveva negli anni 1980 al 22,6%. Numeri disastrosi. L’ex segretario, inoltre, è stato anche l’uomo del granitico no (“No è no! Che parte del no non capisce signor Rajoy” disse) all’ipotesi di consentire la nascita di un governo di minoranza del leader popolare Mariano Rajoy, vincitore delle politiche ma senza maggioranza assoluta, che avrebbe permesso di fare uscire la Spagna da una paralisi istituzionale che dura ormai da 10 mesi. E rischia di portare a nuove elezioni, le terze in un anno.

La nuova direzione provvisoria, che dovrebbe essere guidata dal presidente delle Asturie Javier Fernandez, dovrà rifondare il partito dall’opposizione. I nuovi dirigenti potrebbero optare, come chiede il leader storico Felipe Gonzalez, per una astensione sull’investitura di Rajoy e evitare cosi un ritorno alle urne che i sondaggi prevedere catastrofico per il Psoe, schiacciato fra la concorrenza da sinistra di Podemos e un Pp in costante recupero. L’uscita di scena di Sanchez, che nonostante le dimissioni della maggioranza della direzione federale martedì rifiutava di dimettersi, è arrivata dopo oltre 10 ore di riunione apertamente fratricida, fra grida, accuse e insulti, del consiglio federale socialista. Sanchez ha usato tutte le leve tattiche possibili per evitare la sconfitta. Ma non ce l’ha fatta. Davanti alla sede del Psoe in Calle Ferraz si era riunita una piccola folla di suoi sostenitori appoggiati da militanti di Podemos e Izquierda Unida, che hanno aggredito verbalmente e fischiato al loro arrivo gli oppositori, urlando loro “golpisti”, “venduti” a Rajoy. “Una vergogna” ha denunciato El Pais. L’uscita di scena di Sanchez, l’uomo che rischiava di spaccare il Psoe, dovrebbe riportare a un minimo di normalità il partito. Ora però c’è l’incognita governo. Se il terremoto Psoe non consentirà al paese di avere un nuovo premier il 31 ottobre, la Spagna dovrà tornare a votare a Natale, per la terza volta consecutiva.

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