In queste ore, tutti i leader piangono la morte di Shimon Peres. Un politico definito “uomo di pace“. L’ideale di pace occidentale palesa come tale concetto sia distorto e usato per celare guerre e occupazioni. Peres non era il Gandhi israeliano. Peres è stato fin da giovane uno di quei sionisti che aderì al movimento Haganah, organizzazione militare diretta da David Ben Gurion. Nel 1948 partecipò alla pulizia etnica dei palestinesi, la nakba (catastrofe), in cui circa 800.000 furono costretti a lasciare le proprie case.

Shimon Peres è stato uno dei principali artefici dell’armamento atomico d’Israele. Fu proprio Ben Guiron ad inviarlo nel 1956 a Parigi per carpire dai francesi i segreti dell’atomica. Oggi Israele possiede una quantità enorme di ordigni atomici, almeno 200 testate, una quantità immensa per un Paese di circa sette milioni di abitanti. Israele non ha mai voluto firmare il Trattato di non proliferazione ma a differenza dell’Iran o dell’Iraq non ha subito alcuna ripercussione per tale scelta.

A partire dagli anni ’70 Peres ha appoggiato il movimento dei coloni, che sarebbe più corretto definire ladri di terra che palesano un’occupazione illegittima e ingiusta che continua ancora oggi. Negli anni novanta, quando era ministro degli esteri, è stato artefice degli accordi di Oslo, che hanno consolidato la realtà delle enclave palestinesi.

Nemmeno con l’avanzare dell’età, Peres ha colto il vero significato della pace. Si pensi all’operazione Piombo Fuso a cavallo tra il dicembre 2008 e gennaio 2009 in prossimità delle elezioni in Israele. Il paladino della Pace Shimon Peres dichiarò: “E’ una guerra necessaria e giusta. Se vinceremo ci sarà la pace“. Non è corretto definirla guerra perché le contrapposizioni furono tra uno degli eserciti più potenti del mondo (il quarto) contro dei civili armati di fionde, forbici e razzi artigianali, i Qassam di Hamas che nelle trasmissioni tv occidentali sono descritti quasi come delle terribili testate nucleari.

Nel 2008, in cui fu usato fosforo bianco, secondo la ong Palestian center for human rights in quell’attacco furono uccisi 895 civili e 167 poliziotti a cui vanno aggiunti 280 bambini e 111 donne. In quei giorni, mentre Gaza era una prigione dalla quale non si poteva fuggire e non era permesso a imbarcazioni internazionali di portare soccorso, Israele continuava a ricevere armi dagli Stati Uniti con cui bombardava ospedali, centrali elettriche, infrastrutture idriche e scuole. L’Idf, dall’ inglese Israel Defense Forces, una volta giunto a Gaza dopo aver colpito più di 20.000 abitazioni, costrinse i bambini palestinesi a camminare di fronte ai loro mezzi trasformandoli in piccoli scudi umani.

Israele compì la sua mattanza nel silenzio dei mass media internazionali perché in quei giorni a Gaza furono vietati i giornalisti. Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti umani, però rimase al fianco dei palestinesi e raccontò per Il Manifesto e per il suo blog Guerrila radio quei terribili momenti. Vittorio fu l’unico a poter raccontare le 3 settimane di massacri israeliani capaci di aver “trasformato gli ospedali palestinesi in tante fabbriche di angeli, non rendendosi conto dell’odio che fomenta non solo in Palestina, ma in tutto il mondo”

Ma quella guerra anche se gli israeliani la vinsero come auspicato dalla “colomba Peres” non ci fu pace e ne seguì un’altra ancora più violenta. L’8 luglio del 2014 ci fu l’operazione denominata “Margine protettivo”. Secondo Amnesty International quell’estate ci furono centinaia di attacchi aerei su tutta la Striscia di Gaza, che distrussero abitazioni sovente senza il preavviso sufficiente all’evacuazione né la previsione di rifugi e vie sicure; centinaia di strutture mediche; almeno sei scuole gestite dall’Onu (e complessivamente 137 scuole della Striscia di Gaza) e l’unica centrale elettrica di Gaza.

Peres aveva affermato: “Se Gaza cessa il fuoco, non vi sarà bisogno di un assedio”. Il “fuoco” a cui si riferiva Peres erano i razzi artigianali palestinesi (in risposta alle bombe dei caccia israeliani) che in tanti anni hanno causato complessivamente circa due dozzine di vittime. Il 27 agosto di quel 2014 i morti palestinesi erano 2139, tra cui oltre 490 bambini, più di 8600 feriti. Secondo l’Ufficio delle NazioniuUnite per gli affari umanitari (Ocha) furono almeno 500.000 gli sfollati. Ma la pace non c’è ancora. Perché la pace non può nascere dalla guerra. Non ci può essere pace senza giustizia.

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