Il Tribunale di Venezia condanna le maxi-navi da crociera. Usano carburante ad alto contenuto di zolfo che inquina troppo. La sentenza, passata quasi inosservata, potrebbe avere esiti clamorosi. “Stavolta tocca alla Costa Crociere, ma nei mesi scorsi era toccato anche alla Msc e ad altri armatori. Nulla, par di capire, finora è cambiato. Ma le grandi compagnie rischiano grosso, perché in caso di recidiva potrebbero non avere più il permesso di attraccare nei porti italiani”, racconta Arianna Spessotto (M5S) della Commissione Trasporti della Camera.

Tutto comincia quando la Capitaneria di Porto di Venezia esegue un controllo su una nave della Costa Crociere e contesta al comandante l’utilizzo di un carburante con un contenuto di zolfo superiore al consentito (oltre l’1,5% della massa). Scatta la sanzione da 30.026 euro nei confronti della compagnia. Bazzecole per un colosso come la Costa, ma c’è il rischio di creare un precedente. E soprattutto, appunto, che se pizzicate di nuovo, le navi della compagnia non possano più attraccare in Italia. Ecco allora che la società presenta ricorso alla seconda sezione del Tribunale di Venezia. Che lo respinge.

E qui per le grandi compagnie suona un campanello d’allarme. Perché stiamo parlando di Venezia, già al centro da anni delle polemiche sul passaggio delle grandi navi a due passi da San Marco. Ma anche perché le pronunce dei tribunali italiani ormai stanno diventando sempre più frequenti. Già, ne aveva riferito il Fatto, c’era stato un analogo provvedimento del tribunale di Genova nei confronti di Msc.

Il nodo della questione è il carburante utilizzato: per le navi di linea – come appunto i colossi da crociera – è previsto l’obbligo di adoperare un combustibile con una percentuale massima di zolfo dell’1,5%. Chi non svolge, appunto, servizio di linea può arrivare al 3,5 (con emissioni, quindi, molto più elevate).

Di qui la difesa delle grandi compagnie: “Le navi da crociera non compiono servizio di linea”. Una tesi che i tribunali italiani respingono. Per questo, risulta al Fatto Quotidiano, ambienti vicini alle società armatrici stanno cercando di convincere il governo a compiere una modifica legislativa che consenta di utilizzare i carburanti più inquinanti.

In gioco c’è un tesoro, come racconta un ufficiale della Costa – ma il discorso vale per molti operatori – che chiede di restare anonimo: “Cambiare la classificazione di una nave significa risparmiare decine di milioni di euro. Perché le navi non di linea possono utilizzare carburante con una percentuale di zolfo del 3,5 per cento. E una nave da crociera arriva a consumare 15 tonnellate l’ora”. Aggiunge un ufficiale Msc: “Il carburante più pulito costa molto di più. Ma è anche più difficile da trovare”.

Una disputa che vale milioni, ma tocca prima di tutto la salute. In Italia infatti attraccano ogni anno 4.556 navi da crociera che trasportano 10,9 milioni di passeggeri. A Civitavecchia si contano 806 “toccate nave”, a Venezia 498, a Napoli 430. In alcune città, come Savona (231 attracchi) e Genova (190) le navi arrivano letteralmente nei centri storici dove vivono decine di migliaia di persone.

C’è lo zolfo, ma non solo. Come ha ricordato Luciano Mazzolin di Ambiente Venezia: “L’associazione ambientalista tedesca Nabu ha compiuto rilevamenti dai quali risulta che nella Laguna la situazione per il pm 2,5 talvolta è peggio che a Pechino. Sono stati registrati livelli fino a 150 volte superiori a quello dell’aria pulita”. Il caso più clamoroso, forse, al ponte degli Scalzi e all’Arsenale: “Sono stati registrati picchi di particelle ultrasottili di 62.400 unità per centimetro cubo. All’Arsenale, punto di passaggio delle grandi navi, siamo a 133mila unità”.

Parliamo di navi da crociera. Ma poi ci sarebbe da dire dei traghetti e dei mercantili: soltanto i 20 cargo più grandi del mondo emettono più diossido di zolfo di tutte le auto in circolazione.
Arianna Spessotto (M5S) da tempo combatte una battaglia contro l’inquinamento delle grandi navi: “In pratica – racconta – è quasi impossibile contestare agli armatori la recidiva. Serve che sia subito realizzata una banca dati nazionale in cui vengano inserite, senza ritardo e possibilmente entro le 24 ore successive, eventuali sanzioni amministrative irrogate. Non solo: occorre rendere più rapidi i procedimenti, sennò tra corsi e ricorsi che durano anni le sanzioni più serie – come il divieto di attracco – rischiano di restare sulla carta. Mentre i polmoni dei cittadini continuano a respirare zolfo. E non solo”.

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