E’ possibile che la letteratura raggiunga le punte più alte quando da una feritoia si incontrano alcune verità o le più segrete o le più trascurate, distratte dal caos, dai colori, dalle moschee, dai graticci, dai mosaici, da mulattiere in salita e da indigene avvolte da pashmine. E tanto restituisce la lettura del romanzo di Burhan Sönmez, Istanbul Istanbul, uscito di recente per Nottetempo.

istanbul-istanbulLa verità segreta costretta in un luogo e in un tempo impervio, la Turchia di Erdogan come di Demirel. La polizia militare e le celle di tortura. La Istanbul sulle rive del Bosforo, preziosa negli intarsi sgargianti degli obelischi, sui tramonti di Ortakoy, sopra una chiatta, nei mercati cangianti e pregni di umori della capitale. O una città da sottosuolo, dostoevskijana, che mormora dalle brevi pareti di un carcere per rivoluzionari infedeli. Non converseranno le due città, l’una verso la luce, l’altra gettata negli abissi del dolore e delle torture. Si incontreranno esplodendo in un corto circuito, o non riconoscendosi mai veramente.

Nella cella, quattro uomini aspettano la loro parte di violenza, le fasi di una morte lenta e a scansione. Chi sopravviverà? Chi parlerà per primo, stremato dalla brutalità delle sevizie? Sono un medico, uno studente, un rivoluzionario, un barbiere. Racconteranno la loro vita, a brani, come divorati da cani ringhiosi e affamati, lungo i motivi della loro prigionia, un viaggio ricognitivo persino dentro gli intestini di un Paese complesso.

Lo hanno definito una specie di Decamerone, un romanzo in cui la pluralità delle voci dovrebbe concorrere a una solo verità. Impossibile verità. Come per Pamuk e probabilmente come in molta letteratura turca contemporanea, la suggestione mistica è fortissima anche in Sönmez, un antidoto alla sopportazione del male primitivo che viene esercitato in luogo di uno strumento di indottrinamento  o contenitivo della massa. Ad ogni modo, la letteratura intinge nel dolore le sue pagine più belle, ed è sempre così. “(…) In quel breve spazio di tempo, quando ci preparavamo alla sofferenza, l’uomo e l’animale, il pazzo e il saggio, l’angelo e satana erano la stessa cosa (…)”.

Il realismo turco è piuttosto in Sonmez un surrealismo, o un realismo visionario, l’incontro affascinante del dualismo eterno, l’Occidente e l’Oriente, stringono il misterioso suggello che converge lo spirito di molte voci in una sola terra. Nella frammentarietà delle vite raccontate da Bunmez, si staglia orgogliosamente la Città perenne, come l’ha definita Augias, Istanbul, la città che è da sempre, legata all’assillo e al tormento di una identità scossa, in attesa di una rivoluzione. Li hanno chiamati gli innocenti di Sonmez, i forzati, gli uomini del dolore. Lui stesso, costretto per motivi politici all’esilio, in Inghilterra, dove tuttora vive. Un grande romanzo, lavato nel sangue.

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