L’intervista del Corriere della Sera all’ingegner Carlo De Benedetti, editore del gruppo Espresso-Repubblica, nonché tessera numero 1 del Partito democratico, è oramai diventato un appuntamento trimestrale. Identico il format, identico l’intervistatore, Aldo Cazzullo, quasi identiche le risposte tranne che per qualche piccolo cambio d’accento e di tono per adattarsi ai rapidi cambiamenti di una realtà globale multiforme.

Così De Benedetti dal rifiutarsi “di pensare che l’America uno come lui” (16 luglio), ora non si sente di escludere che Donald Trump possa diventare presidente degli Stati Uniti, “anche se ovviamente non me” (28 settembre). Il pessimismo di fondo sulle cose dell’economia è però rimasto invariato: aleggia sempre lo spettro di una crisi epocale che metterà a rischio la sopravvivenza stessa delle democrazie. Colpa della globalizzazione e delle politiche monetarie ultraespansive messe in atto dalle banche centrali nel vano tentativo di contrastare la deflazione e la stagnazione. Uno scenario apocalittico che porterà al trionfo dei populismi e delle ultradestre che già oggi stanno crescendo in tutta Europa.

In questo quadro, secondo l’ingegnere cambiano le priorità per l’Italia. Se tre mesi fa Matteo Renzi doveva nazionalizzare le banche in difficoltà battendo i pugni sul tavolo in Europa “perché è la politica che fissa le regole, non le regole che fissano la politica”, oggi per fermare l’avanzata del Movimento 5 Stelle l’ingegnere suggerisce un drastico taglio delle tasse sul lavoro. Non una modesta riduzione del 3% del cuneo fiscale, ma un taglio di almeno il 30%, “perché il lavoro è la sola cosa che conta, il resto è sovrastruttura”. Come finanziarlo? Ma che diamine, con una bella tassa patrimoniale progressiva che includa anche tutti i redditi non da lavoro.

Un suggerimento “forte” al governo da uno che è residente in Svizzera e che non sembra preoccuparsi minimamente della fattibilità politica di un simile progetto. Ma De Benedetti ci crede così tanto in questa cosa della patrimoniale che non deve aver parlato d’altro nelle ultime settimane con i suoi più fidati amici e consiglieri. Non per caso, domenica Eugenio Scalfari ha lanciato la stessa idea dalle colonne di Repubblica auspicando un’imposta progressiva molto forte sui redditi dai 120mila euro in su proprio per finanziare il taglio del cuneo fiscale. Chissà a dicembre, a referendum consumato, quali altri preziosi suggerimenti per il governo l’editore di Repubblica esternerà via Corriere.

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