“La granitica volontà dell’ente appaltante nel proseguire i lavori come da progetto, la debole posizione di controllo e di tutela della Soprintendenza, fanno intuire che siamo dinanzi al tracollo della valorizzazione e della tutela del patrimonio all’interno di un’area di parco archeologico urbano […] appare evidente che l’imperativo categorico non è quello di valutare i rinvenimenti in funzione della tutela e della valorizzazione ma solo quello di completare alla meno peggio i lavori previsti”.

Nella petizione “Salviamo le mura greche di Vibo Valentia dall’interramento”, lanciata dal Comitato Pro Mura greche Vibo Valentiae diretta al Presidente della Repubblica, è spiegato tutto. Nei particolari. Accade che nel capoluogo della provincia calabrese istituita nel 1992, nel quale la storia, dall’età preistorica a quella medievale, si affaccia qua e là tra le brutture moderne, si conservino anche i resti della città greca e poi di quella romana. A partire dalle mura, costruite in “un arco cronologico che va dal VI al III sec. a.C. La parte più consistente e meglio conservata, nella località “Tappeto Vecchio”, è lunga circa 500 metri”, come si legge nel sito della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria. Tratto, questo, a lungo mortificato da un sostanziale abbandono al quale i nuovi restauri resi possibili dal finanziamento di 815mila euro dal POR Calabria FESR 2007-2013 , promettono di ovviare.

Certo, rimane da chiarire come sia stato possibile che il progetto del Comune, approvato dalla Soprintendenza archeologica, abbia potuto prevedere la realizzazione di una rampa di accesso al sito in cemento armato, dal momento che essa insiste almeno in parte sulla ipotizzata prosecuzione dell’infrastruttura antica. Ma intanto si tratta di una scelta discutibile, a tutti gli effetti. Disgraziatamente non l’unica. Neppure la più controversa. Nel corso dei lavori di riqualificazione di via Paolo Orsi, iniziati a febbraio 2016 e realizzati dal Comune di Vibo, con autorizzazione del giugno 2012 della Soprintendenza archeologica, che ne prescriveva l’assistenza in corso d’opera, lo scavo della trincea per la posa di una nuova condotta fognaria evidenzia la presenza delle mura. Prima “un filare di conci con andamento semicircolare, ascrivibile, probabilmente, alla cinta muraria di età ellenistica di Hipponion, e in particolare a una torre circolare”, Poi, ad aprile, in più punti, per tratti di considerevole lunghezza, le mura lineari. Tutt’altro che una scoperta inaspettata. La campagna di prospezioni geofisiche realizzata nel 1993, proprio per conto della Soprintendenza archeologica, aveva rilevato con precisione come il tracciato corresse proprio al di sotto del manto stradale. Senza contare che la via costeggia proprio il sito, peraltro vincolato sia in maniera diretta che indiretta, nel quale sono i resti già noti. La scoperta avrebbe dovuto essere una bella notizia. Ma non lo é. I lavori proseguono. Con una sola accortezza. “lo spostamento dell’asse della trincea”. Il Quotidiano del sud ad aprile denuncia la questione. Alcune associazioni locali chiedono attenzione sulla vicenda a Soprintendenza e Comune. La deputata M5s Dalila Nesci interroga il ministro Franceschini su “quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere affinché i resti archeologici … vengano portati alla luce e pienamente tutelati”.

Così la risposta, agli inizi di luglio, del sottosegretario Bianchi ribadisce sostanzialmente quanto deciso nel sopralluogo effettuato dal Direttore Generale per l’archeologia Famiglietti alla fine di luglio. L’autorizzazione della Soprintendenza rimarrà valida per i lavori di tubazione di un ridotto settore mentre viene sospesa su tutto il tratto rimanente, dove verranno eseguite indagini archeologiche preventive, anche se ormai in corso d’opera. Insomma una specie di compromesso. Di mettere completamente in luce il lungo tratto di mura rilevato non se ne parla. Tanto meno di vincolare l’ingombro della strada come suggerirebbe la rilevanza delle scoperte. Nonostante il primo dei saggi previsti restituisca, ancora, la presenza della struttura. L’intenzione é quella di riseppellire le mura. “Fermiamo

questo delirio”, scrive uno dei firmatari della petizione. “Se anche le carte consentissero un simile scempio come si può continuare ignorando quanto hai sotto i piedi?”, aggiunge su facebook Antonio Montesanti, del Comitato “Pro Mura greche”. Una delle tante storie di patrimonio all’italiana? Molto peggio. Perché a Vibo Valentia é in piena realizzazione il “Parco Archeologico urbano della città”. Un progetto, concertato con il Mibact, approvato dal Comune e appaltato nel giugno 2015 alla “Lande Srl”. Ditta sollevata dall’incarico nel giugno del 2016 in quanto oggetto di un’interdittiva antimafia. Complessivamente 1.914.772 euro finanziati con il PAC/POIn-FESR 2007-2013, riguardanti il tratto di mura in località Trappeto, i resti del tempio della fine del V secolo a. C. nell’area, anch’essa vincolata, sul lato opposto di via Paolo Orsi, in località Cofino e l’edificio termale in località S. Aloe, oltre agli “Scavi Bivona”.

Nei documenti sono definiti “interventi di conservazione, salvaguardia, recupero e restauro del patrimonio archeologico, finalizzato alla valorizzazione e fruibilità”. La circostanza che questi riguarderanno i resti antichi noti, ma escluderanno le mura scoperte nel corso dei lavori lungo via Paolo Orsi sembra una contraddizione. Una pericolosa, autolesionistica, scelta da parte di Soprintendenza archeologica e amministrazione comunale. Realizzare un parco archeologico con al centro una strada sotto la quale saranno riseppellite le mura.

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