di Mario Orlandi

Il quesito elettorale è stato confezionato con il palese intento di estorcere qualche voto provvidenziale mediante un messaggio fazioso; il confronto con i precedenti è imbarazzante, e non concede margine a interpretazioni.

Al di là delle conseguenze pratiche, che non è facile valutare, colpisce il significato simbolico della cosa, proprio perché si è materializzata sullo strumento principe per l’esercizio della democrazia: la scheda elettorale.

Non sorprende più di tanto osservare come diversi politici si siano affrettati a gettare acqua sul fuoco, se non addirittura ad esprimere apprezzamento in nome di una ipotetica ricerca della chiarezza. Non sorprende, perché questi individui ci hanno da tempo abituati all’ipocrisia e alla menzogna.

Più difficile da digerire è il constatare la vulnerabilità dei nostri strumenti democratici, lasciati in balia della “buona volontà” del governo di turno, e incapaci di una propria autodifesa autonoma. Ma ciò che lascia davvero perplessi è il vedere cittadini onesti, lontani dai giochi della politica, fare spallucce, e accettare la cosa come se fosse un episodio irrilevante e marginale: in quante altre democrazie progredite potremmo osservare altrettanta rassegnazione?

La “questione morale”, tante volte ostentata e mai affrontata, lascia ora spazio a una nuova stagione, che potremmo forse definire della “resa morale”, nella quale anche i cittadini comuni abbandonano ogni pudore, qualcuno per esasperazione, qualcun altro per superficialità.

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